martedì 4 dicembre 2012

Un indovinello

C’è un indovinello, che mi ha fatto l’altro giorno una mia amica, che fa più o meno così: c’è un uomo a letto che non riesce a dormire. Gira e rigira, ma niente, non riesce ad addormentarsi. Allora si alza, si mette seduto sul letto, sta lì una mezz’oretta buona, poi alza il telefono e fa: “Signor Rossi?”, butta giù, si corica e riesce a dormire. Perché?

Ora, naturalmente quando si fa un indovinello non si può svelare subito la soluzione, bisogna lasciar ben rosolare, altrimenti che indovinello è, ma per farla breve la soluzione la dico subito, che tanto non è neanche il punto del discorso: l’uomo chiama il signor Rossi al telefono perché è suo vicino di casa e sta russando, così lo sveglia e può dormire tranquillo. E quest’indovinello lo si usa, mi diceva la mia amica, per vedere se la gente riesce a pensare “lateralmente”.

Ecco. Allora a me, questa mattina, è venuto da pensare che ultimamente, ma anche già tempo fa, io quando scrivo, le cose che scrivo, son scritte un po’ in quel modo lì, come nell’indovinello, cioè che io fornisco dei fatti, anzi delle schegge di fatti, e le fornisco da un’unica prospettiva, che poi credo sia la mia, però non spiego mai le connessioni, i perché. Allora la gente, leggendo le cose che scrivo, può dire: Eh, non si capisce un cazzo.
Invece poi ci sono, le connessioni e i perché, solo che non ci sono, cioè, nel senso, son sotterranee, son fra le cose non scritte; e allora basta solo cercare di sentirle. Che forse, adesso questo non lo so con certezza, però m’è anche venuto da pensare, stamattina, che forse le connessioni e i perché non ci sono perché in fondo non sono così importanti.
E ho pensato che io è un bel po’ che scrivo in questo modo, ma questa cosa non l’avevo mai realizzata.

Poi ho anche pensato che forse mi prendo troppo sul serio.

domenica 2 dicembre 2012

Schegge #2

Guardarsi negli specchi e ricordarsi di esistere ancora. La storia nei portafogli e nelle stazioni. che hanno i soffitti invasi di luce e non sembrano mai quello che sono.

giovedì 29 novembre 2012

4:45

Questa pioggia che mi spinge e mi fa rallentare. che mi fa risalire il bisogno di stare chiuso in casa per due giorni. La gente come anestesia. dei cuscinetti ammortizzatori per i cattivi pensieri. Ci sono canzoni che ti salvano la vita. e che hanno un peso da spostare i tuoni mentre piove fuori dalla macchina. come Raining In Darling di Bonnie “Prince” Billy. che ti fa sentire la fine di tutto e poi di colpo si apre nel bianco. E realizzi come sia bello, guardare la fine.

mercoledì 28 novembre 2012

Strati

Messaggi a distanza di ore e di pochi chilometri. all of my thoughts are of you. L’apocalisse imminente. di quando ti sei tolta le scarpe. ed erano piene di sangue. Alifib di Robert Wyatt che mi toglie il magone fra le costole. e Tom Waits che se ci pensi suona perfetto in una chiesa.  Scegli il colore dei cuscini, scegli il colore delle persone.
Hanno portato via tutto quello che c’era di familiare, da questa città. hanno portato via tutto. Piove freddo sui nostri giubbotti grigi e scuri. che quando ci abbracciamo ci facciamo ancora del male.

Quattro anni questa notte che te ne sei andata. "è successa una cosa terribile, terribilissima." Give me five minutes, with you sweetest sweet tea. 

domenica 18 novembre 2012

Piovuto dal cielo

Tornavo a casa, questa sera, da una serata con degli amici, e da La Morra stavo tornando giù verso casa mia, e mentre guidavo ero sereno, ascoltavo un bel disco, e poi tutto d’un tratto, come se fosse piovuto dal cielo, in mezzo alla strada:  un cane investito.
Di taglia grande, pelo chiaro, perfettamente al centro della strada, steso su un fianco; solo una macchia di sangue vicino alla testa, che poi è la prima cosa che ho notato appena l’ho visto.  Immobile, per niente scomposto: aveva un portamento, anche nella morte, raggelante.

Ho subito frenato, cercato di evitarlo, ma andavo abbastanza veloce, e allora mi son spostato tutto su un lato della strada, cercando di non schiacciarlo ancora di più, ma ho comunque sentito un colpo alla ruota posteriore.
E mi è venuto in mente che certe cose capitano così, proprio come un cane investito in mezzo alla strada, piovuto dal cielo, che ti si materializza davanti agli occhi una notte mentre torni a casa sereno e senti che le cose stanno andando bene.

E di solito, quand’è così, che senti che stai prendendo la velocità, che stai prendendo il ritmo giusto, almeno, a me è successo un’infinità di volte succede che ti si para davanti un cane investito, come piovuto dal cielo, ed è una cosa che ti sfonda completamente la testa, perché non sai cosa fare: è l’imprevisto che non ti lascia più decidere e pensare, e non sai se tornare indietro e fare qualcosa oppure continuare a guidare e tornare sempre più verso casa, e lasciare che la testa vada da sola e torni e ritorni mille volte su quella scena.

Mi è tornato in mente il periodo in cui era appena morto il mio cane, che credo sia morto il 1 di gennaio di quest’anno e poi noi l’abbiamo trovato poi due o tre giorni dopo, e bene o male ha fatto la stessa fine del cane di questa sera. E ricordo che, il giorno in cui l’ho saputo, che il mio cane era morto, quando sono rimasto da solo in casa, ho passato tutto il pomeriggio ad ascoltare Matt Elliott e a piangere senza vergogna come non facevo da anni.  

E quando ormai ero a casa m’è venuta su una voglia durissima di riprendere la macchina, tornare su quella strada, lasciare la macchina sul ciglio, scendere, prendere il cane per un zampa e trascinarlo delicatamente in un posto sicuro, guardarlo un attimo e dirgli a bassa voce: Ciao bello.

giovedì 15 novembre 2012

Certi momenti

Mi succede, ogni tanto, e l’ultima volta che è mi successo è stato questa notte salendo le scale della palazzina dove abita un mio amico, dicevo che mi succede, ogni tanto, di rendermi conto di colpo di avere un corpo, una sensibilità, di essere la persona che sono e, fondamentalmente, mi rendo conto di essere vivo, di esistere, in quell’istante; e in quei momenti è come se il mio livello di percezione del mondo e di me stesso si alzasse vertiginosamente; così, senza motivo e senza preavviso. E ogni volta che succede mi viene sempre su una felicità che non saprei neanche descrivere, e non saprei nemmeno se chiamare felicità. Però poi, in genere, subito dopo questa cosa piacevole e positiva che sale su, ne viene su un’altra negativa, per niente piacevole, che fondamentalmente si potrebbe tradurre col pensiero che, appunto, se in certi momenti mi rendo conto di avere un corpo, una sensibilità, di essere vivo, di respirare, eccettera eccettera, il resto del tempo no. Che sono abituato.

Questo aprire gli occhi, devo dire, questa presa di coscienza, la potremmo chiamare, mi sta succedendo parecchie volte, in questi ultimi tempi. Infatti prima ero in macchina e pensavo all’ultima volta che mi era successa, questa presa di coscienza, prima di stanotte, però non mi veniva in mente. E mentre che ero lì che guidavo son passato da un incrocio, che a me spontaneamente vien da chiamare l’incrocio degli Wilco; che una volta, quest’estate, ero passato di lì con un mio amico e, come al solito, mi ero fermato e piano piano ero andato avanti con la macchina perché, in quell’incrocio lì, che te ti immetti in un senso unico, a destra, non si vede niente, allora bisogna avanzare piano piano, vedere se c’è qualcuno e se non c’è nessuno passare. Solo che, quella volta lì, guardando a destra, non mi ero reso conto che davanti a me, nella direzione opposta, mentre che io guardavo a destra, era arrivata una macchina, e allora le dovevo dar la precedenza e lasciarla passare, invece io la precedenza non so perché non gliel’ho data e avevo girato a sinistra, e la macchina  davanti a me non si era mossa di un millimetro, né aveva suonato il clacson o protestato in alcun modo. E quando il mio amico mi aveva fatto notare che non avevo dato la precedenza, io, non so per quale motivo, mi ero reso conto di stare ascoltando Yankee Foxtrot Hotel degli Wilco, che secondo me è un disco bellissimo, e alla mancata precedenza non ci avevo dato il minimo peso. Allora stanotte, mentre che ero lì che pensavo a tutta questa cosa,mentre passavo dall’incrocio degli Wilco,  mi è venuto in mente che, forse, in quel momento lì, anche in quel momento lì avevo preso coscienza di essere vivo, di avere un corpo, di avere delle mani, una faccia, dei piedi, di avere una sensibilità, degli occhi, delle orecchie, e forse è poi per quello che ancora oggi, che poi ne son passati di mesi, me lo ricordo, l’incrocio degli Wilco.

Schegge #1

L'apocalisse imminente. di quando ti sei tolta le scarpe ed erano piene di sangue.

martedì 13 novembre 2012

Di notte

Non so perché, di notte, quando son nel letto, ma questo da anni eh, mi viene sempre da fare dei monologhi o dei discorsi immaginari con delle persone.
Ricordo, per esempio, che c’era un periodo in cui pensavo spesso di litigare con una mia compagna di classe del liceo, (che, a quanto pare, mi doveva stare parecchio antipatica) ma generalmente sono tutti discorsi tranquilli: a volte rassegnati, altre volte dico cose che difficilmente poi riesco a dire come le ho pensate, altre ancora sono solo dei monologhi miei su chissà cosa. Ma tutti di una fluidità, di una spontaneità.
Mi piacerebbe poterli registrare, tutti questi discorsi e monologhi che mi faccio io, la notte. 

lunedì 12 novembre 2012

Framm

Pensavo ieri notte che è un periodo che non scrivo quasi più, o che comunque scrivo molto meno rispetto a un tempo, e che molte volte inizio, ho anche un’idea, ma non finisco mai. Praticamente tutte le cose che ho iniziato in questi ultimi, diciamo, sei mesi, non le ho mai finite.
E pensavo che sarebbe bello, o almeno interessante, pubblicare un libro solo di frammenti, di cose lasciate a metà o neanche a metà, di abbozzi; e lasciare tutto così come è stato mollato, senza neanche preoccuparsi di finire di scrivere del tutto l’ultima parola, se l’ultima parola non la si è neanche finita di scrivere.

Io lo leggerei, un libro così. Non so, mi sembra che potrebbe essere, forse, l’unico libro vero, in tutto e per tutto, forse anche troppo, che si possa leggere.

mercoledì 7 novembre 2012

Eliminare

Eliminare gli omonimi sul cellulare significa realizzare che non si può essere amici per sempre. E che per troppo tempo ci si è illusi del contrario.

martedì 22 maggio 2012

up-up-up-up-dna

God damn this whole sacrifice – and this revealing, lately. Here comes the pain, oh yeah, here come the blackbirds. Flutes and Saxophones – will shut me down, 'til I’ll drown. And no, you can’t relax, you can’t even sacrifice. – something or anything. your sharp teeth. No way: your life is your life. your fist. –blue life from the things that shine inside. I’d rather be back. I’d rather go insane _ In this place there’s a wind I know – and I don’t like - breathing inside of celebrations. Everything must have happened: your hour, the honey that swells inside you. I think I’m gonna stay in this room forever and I’m fine with it – Explosions. Inside out. Inside. Something is growing- something is showing up. Lately. And All of these things MUST pass. MUST clear up. I will be right, when you’ll be right too _ Pick ‘em up. Go ahead. You can bring up all of your friends. They’re like morphine shot in my ears. Black ravens on the way home. She had A SMiLE. A smile. And no, no, no, no, you can’t imagine. I can’t imagine. Everybody dies – Enea. All of you. I’ll die in confusion, maybe. She had a way of making you feel good, I don’t remember - It’s all wrong. Shhhh. Peaceful. It’s late. I’ve been up lately.

lunedì 26 marzo 2012

In libreria

Lei: Oh, l'hai letto questo?
Lui: Sì, Bulgakov.
Lei: T'è piaciuto?
Lui: Sì, molto. L'ho perfino portato all'esame di letteratura russa all'università. Avevo letto l'introduzione e un riassunto di circa dieci pagine.

...

(poco dopo)

Lui: Oh, Ivanoe!
Lei: De Bergerac?
Lui: No, di Valterscòt.

giovedì 15 marzo 2012

Ormai

quando a volte vorrei piangere e diventare rosso come fai tu, mi porto dietro una matassa che non riesco più a sbrogliare: comunque la rigiri pesa, come le canzoni tristi quando fuori piove. ho provato più volte a sparire e, sortito l'effetto contrario, farò finta che va tutto bene quando torni a letto. e non venirmi a dire che fa tutto schifo quel che è triste.

in tutti questi anni abbiamo detto così tante cose, ne abbiam fatte così poche, programmato mille viaggi e poi rimasti sempre a casa, ma raccontare e perdonarsi a volte è imperdonabile, quindi oggi parla tu: dimmi qualcosa che mi scaldi. ti porto al cinema stasera, ma paghi tu, che io non ho un lavoro. ti porto tutt'altro che lontano. alla fine non è male qua.
con la scusa di un film dell'orrore così brutto che mi ricorda dublino, andiamo a passeggiare e non in un centro commerciale. te lo ricordi il vecchio del chiosco sulla spiaggia? ci penso spesso, sai.

prima ancora che io potessi finire il mio stanco, ennesimo "tutto bene?", ti sei chiusa dentro al bagno con un trucco ormai vecchio: è soltanto questione di ore. io non me ne andrei, se non fosse che è arrivato il tempo in cui il tempo non c'è più.
e dopo tutto, quando fuori non piove, non è affatto male.




- I Fine Before You Came han fatto un disco nuovo. Si chiama Ormai. Tutte le parole che avete appena letto sono prese dai testi di Ormai, io c'ho solo fatto un collage molto libero e molto inutile. è meglio Ormai. Se non l'avete ancora ascoltato, fatelo. -

martedì 24 gennaio 2012

There is a light

Notare delle piccole cose è la cosa che faccio di più, in questi giorni. Ci sarebbe anche da chiedersi il perché: il perché è semplice, non c’è manco da chiederselo: perché non sto facendo niente, in questi giorni. Allora stamattina, stamattina è stata una mattina strana, stamattina. Camminando sul binario due per salire sul treno, ho sentito: Il treno per, chi se lo ricorda per dove, è in arrivo sul binario buio. Ho detto No dai, ho sentito male. Poi però ho pensato, certo che ce ne vuole a capire buio al posto di uno, ce ne vuole veramente, non è che ha sbagliato l’annunciatore? Che quello lì, quello che annuncia i treni, come lo vuoi chiamare? Io non lo so come chiamarlo, lo chiamo annunciatore.

Poi comunque non ho notato nessun’altra piccola stranezza per tutta la mattina, mi son fatto il mio viaggio in treno dormendo, son arrivato a Torino, ho fatto le cose che dovevo fare, sono andato all’università; solo che, nel frattempo che facevo le mie cose, mi son messo ad ascoltare un po’ di musica dal lettore mp3 e, tornando dalla Fnac, praticamente ero quasi arrivato in stazione, mi è venuta voglia di ascoltarmi un disco per intero. Allora non sapevo cosa ascoltare, ho guardato un po’ quello che c’è sul lettore mp3, ho scelto Kollaps Tradixionales dei Silver Mt Zion.

Che poi sul nome dei Silver Mt Zion ci sarebbe da dire una cosa, cioè che cambiano nome a ogni disco, ma ogni volta di poco: tipo una volta si chiamano A Silver Mt Zion, un’altra A Silver Mt Zion Memorial Orchestra, un’altra si chiamano Thee Silver Mt Zion Memorial Orchestra and tra-la-la band, un’altra volta ancora Thee Silver Mt Zion Memorial Orchestra and tra-la-la band with choir. Ecco.

E m’è venuto in mente, mentre ascoltavo Kollaps Tradixionales camminando verso Porta Nuova, quando sono andato a vederli, i Silver Mt Zion, allo Spazio211: era primavera, ero con Marco e con Linda, due miei amici, ci eravamo incontrati in stazione di pomeriggio presto e mi ricordo che avevo dietro una borsetta di cartone, di quelle che danno nei negozi, piena di cose che mi ero portato dietro, che, se non sbaglio, erano: tutti i cd dei Silver Mt Zion che avevo, che, se non sbaglio anche qui, eran quattro, Yanqui UXO dei Godspeed You! Black Emperor, La vergogna delle scarpe nuove di Paolo Nori, una penna, e una specie di regalo che avevo per Efrim Menuck, che è il cantante e chitarrista dei Silver Mt Zion. E mi ricordo il viaggio in treno, di pomeriggio presto, c’era un sole chiarissimo, era stato stupendo. Mi ricordo dei viaggi bellissimi, io, in treno, con dei libri bellissimi e delle borse e dei pacchi bellissimi. E quasi sempre son di pomeriggio.

Ci eravamo incontrati, io, Marco e Linda, quel giorno in stazione, e ci eravamo fatti dalla stazione allo Spazio211 a piedi. Solo che avevamo anche allungato, non sapevamo la strada, allora eravamo andati fino in Via Po’, a Palazzo Nuovo, avevam trovato una mappa della città, avevam capito la strada c’avevam messo qualcosa come tre ore, ad arrivare allo Spazio211. E intanto eravamo passati per mezza Torino a piedi, eravamo passati in delle stradine che buttavano malissimo, ci eravamo persi, avevamo chiesto indicazioni, avevamo sbagliato, eravamo passati in un mercato rionale in un quartiere di, non vorrei sbagliarmi, marocchini, e sembrava di essere lontanissimi, dall’altra parte del mondo, sembrava che il senso di quella giornata fosse camminare con tranquillità per mezza Torino per arrivare allo Spazio211, non tanto andare a un concerto. E quel pomeriggio lì, a camminare, sembrava di essere lontanissimi.
Poi alla fine eravam solo a Torino, un po’ in periferia, alla fine eravamo anche arrivati in anticipo, allo Spazio211.

Avevamo aspettato tantissimo, fuori dal locale, nei giardini, si stava bene. Poi erano arrivati degli altri nostri amici eravamo andati a fare cena in un bar un po’ lontano, da dov’eravamo, avevamo mangiato qualcosa e quand’eravamo tornati fuori dallo Spazio c’era una coda enorme, era tutto pieno.

Mi ricordo l’attesa, seduti io e Marco sul palco, per stare davanti, con tutta la ressa attorno, poi alla fine eravam finiti in mezzo, non ricordo perché. Era stato un concerto fantastico.

E mentre che pensavo tutto questo, questa mattina mentre camminavo Porta Nuova ascoltando i Silver Mt Zion nell’mp3 e pensando a quel pomeriggio, al concerto, a Linda e Marco, a tutta la strada che avevamo fatto, a com’ero stato bene, mi è venuto da piangere.




Poi son arrivato a Porta Nuova, ho preso il treno, ho ascoltato due volte A Love Supreme dormendo e quando sono sceso dal treno e stavo per uscire dalla stazione ho sentito: Il treno proveniente da, chi se lo ricorda, e diretto a, chi se lo ricorda, è in arrivo al binario quadro.

Anche lì, pensavo: non è possibile.
Però, pensavo, io prenderei tantissimi treni da una stazione con un binario quadro e uno buio.