giovedì 31 marzo 2011

Acqua

e prima mi sono reso conto di essere a Torino, e mi sono detto che era meglio non considerarmi sempre di passaggio. ti ricorderemo ogni tanto, quando ci diranno di farlo. Nel bagno di questo bar che non sembra un bagno ma l’anticamera di un balcone. a osservare i buchi circolari sul soffitto del cesso e a accelerare coi pedali dell’acqua sotto il lavandino. specchi sporchi per proteggere gli spacci. Ieri notte ho pensato che ultimamente sto bene perché sto comprando solo buona musica. In questo bar a mangiare pranzo completamente solo in tutto il locale, l’unico, che mette un silenzio e una tristezza incredibile. che devo ancora far passare tre ore e mezza e non so cosa fare non so dove andare non so a chi pensare. e fuori il cielo è un foglio grigio opaco che nasconde un tumore di sole di lava tiepida. E ieri mi stupivo che alle otto del mattino faceva già chiaro. come quella notte che dopo aver letto Tarantula di Bob Dylan sentivo la testa pulsare e le labbra formicolare e il corpo in tensione per l’ubriacatura di parole e di significati. che si annodano bene e male come i capelli sotto la pioggia.

mercoledì 30 marzo 2011

Avivistamenti

Ci son delle volte, quando sono in giro, che mi capita di vedere della gente famosa, per strada, cioè, non della gente famosa reale, ma dei sosia, se così vogliamo dire, uguali. Tipo una volta, una mattina presto, qualche mese fa, faceva freddo, stavo uscendo da Porta Susa, ho girato l’angolo, mi è passato accanto Miles Davis. Un’altra, ieri, stavo facendo quei due scalini che ci sono all’entrata di Porta Nuova, su quei due scalini che ci sono all’entrata di Palazzo Nuovo c’era Bukowski. Oppure oggi, sul treno delle 17 45 che da Porta Nuova porta a Bra, quando stavo per scendere, a Bra, che ero davanti alla porta a aspettare che il treno si fermasse e si potesse scendere, davanti a me c’era Johnatan Coe.

venerdì 18 marzo 2011

A plain picture

Le grammatiche greche, i libri, i libri distratti e i libri persi fra gli altri. micah p hinson son qui che t’ascolto, ho sonno e ormai ti so già, e ti conosco così bene che non sarebbe male, se facessi un altro disco. le tazze sparse sulla scrivania, i pacchi, i pacchetti e gli imballaggi di carta gialla, gli spaghetti giapponesi che si accavallavano su un naso che non c’è mai stato e poi la perfetta vibrazione delle bacchette, che andrebbero usate per suonare la batteria, non per stringere pesci. La verità è un'immagine semplice. E tutto questo non ha senso se lo si guarda da davanti, basta spostarsi verso destra, poi verso sinistra, poi sedersi e guardare a terra. Parole, parole, parole, ma che cosa mi ci vuole, mi ci vuole leonard cohen, tutto minuscolo, tutto di seguito, tutto d’un fiato, un fiato lunghissimo, tortuoso, monotono e tintinnante e soffocato, perché d’altronde bob dylan ha aperto una strada a tutti, ma non molti sono interessati, altri hanno già altre strade. e comunque il caffè d’orzo è buono, nonostante quello che la popolazione mondiale continua a tramandarsi negli anni, raymond carver scriveva in silenzio, questi brani sono stati scritti in silenzio, la disciplina dell’azione sta nel non violarli. e il the, i cucchiaini lunghi per le tazze alte e quel mio sogno di rimanere rinchiuso nella mia stanza per sempre ed essere autosufficiente e poi uscire, prendere la macchina, bagnarsi, rischiare di morire a ogni curva e non vedere le macchine non vedere la gente non vedere più niente perché i vetri son sporchi, da dentro e da fuori, ma soprattutto da dentro e quando torno sono puliti perché gli è piovuto addosso per delle ore e la macchina ha un altro colore è nera ma è blu, e poi torniamo tutti a casa, dopo delle ore dove non pensavamo più di avere un corpo e le frenate mi trattavano la gola come una lama tratta l’acqua e ormai sento che ho perso tensione ho perso precisione sbando e rallento scalo e mi fermo.