mercoledì 28 aprile 2010

Elenco del disordine

Qualche giorno fa mi sono tornati in mente gli elenchi, che mi hanno sempre affascinato, e mi è venuto il bisogno di scriverne uno. Mi sono guardato intorno, poi ho aperto un documento Word e ho scritto:

"Sul tavolino del mio salotto c’è la solita lampada abat jour, lo stereo con le sue due casse, il portacenere che vedo da quando sono piccolo, con sopra quella custodia della patente rossa con dentro il biglietto del cinema di qualche tempo fa, un vasetto di yogurt al cui interno c’è un bicchierino del caffè di plastica con il suo cucchiaino, la carta esangue della bustina di zucchero stracciata, una tazza dove ho preso il thè mezz’ora fa, You’Re Living All Over Me dei Dinosaur Jr con sotto Fiaschi di Francesco Targhetta, con sotto White Light/ White Heat dei Velvet Underground, con sotto Live At Leeds degli Who che si appoggia su La Vergogna Delle Scarpe Nuove di Paolo Nori, che non è mio, mi è stato imprestato, e devo restituirlo, accanto una rivista della Mondolibri che ormai odio e, sullo stereo, il libro dell’edizione speciale di Kollaps Tradixionales dei Silver Mt Zion, con sopra Kollaps Tradixionales, Sea Shanties degli High Tide, Live At Monterey di Jimi Hendrix, Yanqui UXO dei Godspeed You! Black Emperor, il primo omonimo dei 13 Floor Elevators e, a coronare questa mia porzione di disordine, il cd di Hendrix, con Hendrix che quasi mi guarda, ma non proprio, da dietro il giallo e il nero dell’immagine stampata sul cd."

Ecco perché



Ecco perché, tempo fa, regalavano libri in università. Non li regalavano, li salvavano.

sabato 24 aprile 2010

domenica 18 aprile 2010

Prologo (in ritardo)

Non è che sia affetto da scrittura compulsiva, anzi.. Tutto quello che leggete (plurale di speranza) qua sotto è stato scritto nell'arco di un mesetto, all'incirca, oppure, per chi preferisce la precisione, dal 22 marzo 2010 fino all'altro ieri. Non ho subito aperto un blog per un solo motivo: il titolo. Non riuscivo a trovarci un titolo.
Io son fatto così: mi soffermo per millenni su particolari in fondo secondari e mi ci fisso, mi ci inpunto fino a quando non riesco a trovare la soluzione che sto cercando. Non che sia ancora così convinto di questo titolo eh, però diciamo che può andare.
Era giusto (per) precisare.

venerdì 16 aprile 2010

Porta Pazienza

C’è una fermata, nel tragitto che faccio ogni giorno in treno per andare all’università, che i pendolari chiamano “Porta Pazienza”, perché il treno si ferma esattamente a 500 metri (magari un po’ di più) da Porta Nuova, nel nulla cosmico che circonda i binari vivi e morti che ormai si stanno innestando nella stazione. Si sta lì cinque minuti buoni, con la stazione davanti, ad aspettare che passi un treno e che lasci libero il binario. D’estate, d’inverno, sempre. Qualche giorno fa, che dovevo andare a vedere Le Luci Della Centrale Elettrica a Torino, il treno si è fermato senza motivo per un quarto d’ora al Lingotto, così, tanto per farmi incazzare un poco e poi, come se non bastasse, ha fatto la solita fermata nel nulla a Porta Pazienza. Marco mi ha mandato un messaggio, dato che ero già in ritardo di venticinque minuti, scrivendomi: “Dove sei?” e io gli ho risposto: “A cinquecento metri da te, se solo il treno muovesse il culo.”

Mah

Sempre in treno, oggi, son passato davanti a un capannone pieno d’attrezzi e ho pensato: "Questa è la fabbrica dove costruiscono i nostri sogni e demoliscono i nostri specchi"

Pastiglie

Pensavo oggi in treno, mentre viaggiavo per Torino, che le cose belle, come pure quelle brutte, i dolori, si dovrebbe tenerle poco in bocca. Che poi uno, se le tiene troppo in bocca, le cose belle o i dolori, si perdono un po’, si sciolgono, come delle pastiglie. Che sì, ti rimane il gusto per un po’, però poi va via pure quello, che magari uno ci beve su. Quindi delle cose belle o dei dolori, io, tendenzialmente, non ne parlo, me le tengo per me, che io so, forse, cosa voglio dire; ma se lo dico a qualcuno, a chiunque, si perdono, si sciolgono. Come le pastiglie.

Nella portiera dell'auto

Scrive un amico: “Se il dolore è uno stato mentale, è il caso di dimostrarlo tranciandosi le dita nella portiera dell’auto. Chissà Morelli che direbbe (fra le bestemmie).”

Cd usati

Sono due anni che vado a un mercatino in una città vicino a dove vivo io, che si chiama Bra (e magari la conoscete perché è famosa per Cheese: una manifestazione dove arrivano formaggi e vini da tutto il mondo,) convinto che si vendano cd usati, e son due anni che torno a casa dandomi un po’ del coglione, perché il mercatino dove si vendono i cd usati non è a Pasquetta, ma un po’ dopo, e mi confondo sempre. Ecco. Però, in compenso, mi son preso un gelato ed era buono. Esticazzi, direbbe qualcuno.

Nel giaccone

Dovrei avere una penna nel giaccone. È finita lì dentro mercoledì mattina, alla biblioteca di psicologia di Torino. L’ho tirata fuori dal portapenne per darla ad Alessia, le serviva per compilare il modulo di prestito. Poi, quando me l’ha ridata, il portapenne l’avevo già richiuso e quindi me la son messa in tasca. Non c’ho più pensato.
E stanotte m’è venuto in mente, chissà perché, che mi piace girare con una penna nel giaccone. Ma senza un quadernetto d’accompagnamento. E quindi appuntare le cose che mi vengono in mente sui fogli più disparati: giornali, quaderni d’appunti, volantini, menù, biglietti del treno, biglietti di concerti.
Stamattina sono andato a controllare nella tasca se c’era ancora, la penna; così, per sicurezza. Non c’era.

Rumore

Io c’ho dei ricordi che a volte mi tornano in mente, ciclicamente, come se dovessero dirmi qualcosa di più di quanto già mi dicono. Magari poi, quando tornano, li scrivo. Sono come un ritornello stonato nella mia vita. Il resto è rumore e melodie scontate.

Di nuovo

Ieri me lo sarò detto tre volte, che dovevo scrivere qualcosa, e mai che mi sia ascoltato. Puntualmente mi son dimenticato le cose che volevo dire

Le nuvole

Le nuvole a volte mi accecano.

Invito al cinema

Succede rare volte, ma quando succede che mi addormenti dopo cena, per un’ora, magari anche due, dormo uno di quei sonni pesanti, che, al risveglio, ti lasciano i capelli, la lingua e le idee impastate per due ore. È successo anche stasera.
Ho solo un ricordo strano, di io che vengo svegliato un attimo e mi viene messo fra le dita qualcosa, e mi si dice qualcosa, che io non sento, né capisco, perchè mi riaddormento subito.
Quando mi sono svegliato avevo un biglietto del cinema fra le dita, avvolto da una di quelle custodie di plastica dove si mette la patente. Rossa, bruttissima.
INVITO AL CINEMA. Il presente tagliando da diritto ad uno sconto sul prezzo del biglietto valido tutti i giorni della settimana FINO AL ____/ ___/ ____.
Poi, a lato, c’è scritto: il presente BUONO SCONTO è stato offerto da: spazio bianco.
Dal sonno, dico io.

Informazioni

Stamattina stavo cercando il CAAF per le tasse universitarie, ma non lo trovavo. Sono entrato in una farmacia e ho chiesto informazioni. Erano in quattro, e il negozio sarà stato di tre metri quadri. Sembravano quattro personaggi di uno spettacolo teatrale, tutti e quattro in fila, sorridenti, giovani, col loro camice bianco, soli, ad aspettare che entrasse un cliente per iniziare la loro parte. Io, però, li ho fermati subito: ho chiesto informazioni. Non era nel copione.
Uno di loro, il più grasso, mi ha dato le indicazioni e poi si è fermato un attimo e ha sorriso, io gli ho ricambiato, ho detto: "Ho capito.. ho capito. Grazie, ho capito."
Poi sono andato verso la porta e quello che mi aveva accolto mi ha salutato di nuovo: "Arrivederci, a presto!"
E, in quel momento, come mi capita spesso, mi sono scontrate nella lingua due idee, e invece di dire: "Salve!" o "Ciao!" Sono uscito dicendo:
"Sao!"

Angoli

Chissà perché si dice di uno che è ottuso o che è acuto. La stupidità e l’intelligenza degli angoli..

Corde

Spesso mi capita di pensare che le corde della mia chitarra siano fatte di cartone. Mi viene da suonare canzoni, melodie, pezzi, di cartone. Poi mi ricordo che non so farlo.

Un nido

Ho appena notato che sull’albero davanti alla porta di casa mia c’è un nido di uccellini. è una macchia appena più scura in un groviglio di rametti marroni tagliati a palla, quasi al centro della pianta. Un nido-nucleo, protetto da un labirinto aggrovigliato di spaghi di legno, protetto da me, da tutti, da altre bestie.

Libri

Oggi, in università, regalavano dei libri.

Un'altra volta

Io sono uno, ora che ci penso, che ha delle paure incondizionate ed angoscianti. Ma è troppo lungo parlarne. Un’altra volta.

Bene

Stamattina era come se avessi dell’aria fresca e appena dolce in petto. Una sensazione piacevolissima, rilassante. Era tempo che non stavo così bene. Poi questa sera L’ho rivisto sul treno.
E mi ha rovinato tutta la giornata.

Distrazione

Oggi, sarà la stanchezza di cui dicevo sopra, sono stato distratto tutto il giorno. Avere la testa da un’altra parte trovo sia una bella espressione, ma quando non si sa nemmeno dove sia, quella parte, trovo lo sia un po’ meno.
Per esempio, son sceso a Carmagnola oggi, tornando a casa, che c’era il cambio per Bra dopo poco, e quindi sono andato in sala d’attesa a vedere da quale binario partiva il treno, e poi, a uscire, la porta era bloccata. Ho provato a tirare, niente. A spingere, niente.
Che coglione, mi son detto, sono entrato dall’altra. Allora sono andato dall’altra porta, l’ho appena guardata, era una porta a vetro con un grosso maniglione a spinta rosso e nero, e ho detto: No, no, questa io non l’ho mai vista, e sono tornato dall’altra porta. Ho di nuovo spinto, ho di nuovo tirato e un signore lì seduto, che secondo me si gustava la scena già da un bel po’, mi ha chiamato: “Giovanotto! Giovanotto, si esce dall’altra porta, dall’altra porta.” Allora l’ho guardato un attimo in silenzio e ho detto: Che scemo che sono.
Sono andato dall’altra porta e si è aperta. Vedi che son proprio coglione oggi, mi son detto. Solo oggi?, ho poi aggiunto.
E poi, sempre sul treno, stavolta su quello che portava a Bra, eravamo arrivati a destinazione e tutti nel vagone si erano alzati, compreso me, ed eravamo andati dalla porta ad aspettare che si aprisse. C’era però un ragazzo, tutto raggomitolato nel suo maglione e appoggiato allo zaino messo sul sedile vicino al suo, che si era addormentato e non si era svegliato nemmeno quando il treno si era fermato, sbatacchiando e fischiando.
Forse è meglio che lo svegli, visto che gli altri non fanno nulla, mi son detto. Ci ho pensato su dieci secondi, poi le porte si sono aperte e mi son detto: Ma si, tanto siamo arrivati, ora si sveglia e scende.
Ecco, menomale che ho fatto questo ragionamento. Perché quel treno non si fermava mica a Bra. Andava ad Asti. Non era nemmeno a metà corsa, a Bra. Insomma, l’avrei solo svegliato per niente, facendomi anche una figuraccia terribile.
Io l’ho detto che in sti giorni sono stanco.

Scrivo

Son seduto su una panchina qualunque di questo parchetto e, saranno passati dieci minuti da quando mi sono seduto a scrivere, mi guardano tutti, quelli che passano. Come se stessi facendo chissà che cosa strana.
Sto scrivendo su un quaderno, vi stupisce così tanto?
Poco fa sono arrivati dei bambini, una classe di scuola elementare, in questo parchetto, a fare ginnastica. Due di loro mi hanno guardato come se avessero visto un alieno ubriaco. Sono andati avanti, si sono tolti la giacca, l’hanno posata su una panchina, hanno iniziato a correre, senza distogliermi lo sguardo di dosso nemmeno per un momento. Erano veramente stupiti.
E da questo stupore, per me infondato, mi è venuta un’idea che nemmeno io so se sia una cazzata marmorea o meno. Questa mia idea più o meno fa così: “Sarebbe bello se, un giorno, tutti gli scrittori, e per scrittori non intendo solo quelli famosi, quelli con le pubblicazioni importanti alle spalle e le grandi recensioni, ma proprio tutti quelli che solitamente scrivono, quindi anche gli scrittori famosi, logico, dicevo: sarebbe bello se tutti gli scrittori si mettessero sulle panchine di questa città, o di qualunque altra città, e scrivessero; senza dire niente, senza pubblicità o promozioni. I passanti se ne accorgerebbero, credo, di tutta questa gente per strada a scrivere su delle panchine e magari si fermerebbero a chiedere: “Ma cosa fate?” e loro, gli scrittori, direbbero: “Scriviamo.” “Ah” direbbero i passanti. “Eh” direbbero gli scrittori, anzi chiamiamoli scriventi, che trovo si addica meglio all’occasione. Sarebbe bello.”
Ecco, idea finita.

Hrabal

Spesso mi capita, leggendo, di trovare delle frasi bellissime, di una potenza poetica da far piangere. Come questa, che ho trovato stamattina leggendo Una solitudine troppo rumorosa di Bohumil Hrabal, che fa così: “L’orologio illuminato sul campanile della Città nuova indicava un’ora inutile”. Ecco, io, con una frase così, se l’avessi scritta io, ci avrei fatto cominciare il mio racconto migliore, perché ha una tale, non so come dire, una tale imponenza e così tanti significati nascosti da essere perfetta, per un incipit.
È un verso. Non a caso Hrabal l’aveva scritto prima come poema, Una solitudine troppo rumorosa, e solo dopo l’ha trasformato in un romanzo e, secondo me, leggendolo, si sente molto. È un po’ come certi racconti brevissimi di Carver, che, se uno li “incolonnasse” un po’, sarebbero delle poesie commoventi, per come vedo io la poesia.
Ma non è che queste frasi me le ricordi sempre, anzi, a dir la verità, non me le ricordo quasi mai. Mi dico sempre: Ora me le segno, ora me le segno, e poi, preso dal desiderio di continuare la mia lettura, me le ripeto in mente due o tre volte, illudendomi che poi me le ricorderò. Non accade mai.
È un problema che mi preoccupa parecchio, quello del dimenticare. Ho come l’impressione che molte cose mi sfuggano, scappino dalla mia testa senza che io me ne accorga. Belle frasi, ricordi di libri letti, momenti e scene intere. Soprattutto quando leggo ho questa paura, e trovo sia allo stesso tempo una paura paralizzante e dolciastra, non ricordare ciò che si è letto.
Lettura come non ricordo, diceva Carmelo Bene, ma non è che c’entri molto.
Bisognerebbe rileggere, mi dico io, allora. Ma i libri sono tanti, troppi e di giorno in giorno se ne aggiungono altri. Forse tutti dimenticano come dimentico io, forse tutti ricordano solo dei punti di un libro letto un anno prima.
Per questo ci sono i libri, mi vien da dire, per essere ripresi in mano, riletti, riletti ancora, goduti ancora una volta. Ma subito mi ritorna l’angoscia del tempo, delle centinaia di libri comprati e non ancora letti, e tutto ricomincia da capo. Che dannazione.

Pigiama

Ci son dei giorni, mi è capitato diverse volte, che al mattino mi alzo, mi lavo, mi vesto, esco di casa, prendo il treno e a un certo punto ho la certezza di essere uscito di casa in pigiama. È una sensazione terribile. Mi guardo e sono vestito normalmente, ma il sollievo è troppo piccolo. Di solito mi rovina tutta la mattinata.

Fatica

Ultimamente son dei giorni che faccio una fatica, a fare le cose. Sono proprio stanco. Ma stanco per cosa? mi vien da chiedermi. Per niente, non ho fatto nulla di speciale, ma son sempre esausto. Sarà che dormo poco, di solito 4 o 5 ore a notte, ma stamattina, a fare quei dieci scalini per arrivare al secondo piano dell’università a seguire una lezione, ho fatto una fatica che non so cosa non mi abbia fermato, mi abbia fatto scendere quei tre scalini che avevo fatto, prendere un bus, tornare in stazione, andare a casa, mettermi sul divano, sotto una coperta, col portatile sulle gambe e non fare niente per tutta la giornata. Davvero non lo so. Sarà la “catena di montaggio”.

Non ricordo

Ci son tante di quelle cose che mi vengono in mente, da scrivere, mentre cammino, ma mai che me ne ricordi una. Anche oggi, sempre a Torino, me ne son venute in mente minimo tre, ma niente, non me le ricordo.

Io

Io sono uno che mi sento sempre a disagio, quando cammino per strada. Son sempre convinto che la gente mi osservi, mi fissi, stupita da qualcosa; da quanto sono brutto, mi dico io. E allora inizio a controllare se sono pettinato, se mi son macchiato, se ho qualcosa di strano. Ma non c’è mai niente, che io veda.
È vero che la gente mi osserva, forse, però, lo fa perché io la osservo per vedere se mi osserva, allora si sente osservata e mi osserva. O forse no.
A Narzole poi, io vivo a Narzole, cioè, non è vero, vivo in una frazione di Narzole che è lontana da quel paesino di merda qualche chilometro, ma comunque, a Narzole, ne son certo, mi guardano tutti. Ma lo fanno con tutti, i Narzolini. Si chiamano così. Narsulin ed merda, si dice, quasi come se fosse un proverbio. E la sua veridicità ce l’ha eccome. È proprio gente di merda.
Quando passo per quelle tre vie, che sia in macchina o a piedi, mi guardano tutti, e hanno uno sguardo strano: di rimprovero, credo.
Io ho provato a fare le medie a Narzole, ma proprio non mi piaceva, e così son stato male due settimane; poi i miei, esasperati, mi hanno trasferito a Bra, dove, fino a un anno prima, vivevamo.
Io, questo trasloco, non l’ho mai mandato giù del tutto. I primi tempi, poi. Non ci volevo proprio andare a Narzole; non volevo proprio cambiare casa, per niente al mondo. Ero piccolo. Stavo bene dov’ero. Ma i miei la casa l’hanno comprata, e quindi ci siamo trasferiti. Tutti i miei amici però erano a Bra; la mia vita fino a quel momento era là. Nonostante questo, però, mi hanno preso e mi hanno spostato, e, a me, non è mai andata giù.
Ricordo ancora il primo giorno di scuola del primo anno delle medie, a Narzole. Una paura. Son sempre stato pauroso io, lo sono ancora. Non volevo proprio andare, in quella scuola. Non conoscevo nessuno e, lo sapevo, gli altri non mi volevano, a rompere i coglioni. E infatti non mi han voluto. Mi hanno subito visto male e nessuno, dico nessuno, aveva la minima intenzione di spartire qualcosa con me. Nemmeno il banco.
È durata due settimane, quella tortura; poi sono tornato a Bra, almeno a scuola.
Da quel momento, da quando me ne sono andato, non ne ho nessuna prova, ma è come se tutto il paese se la fosse presa con me.
"Guarda, quello che ha cambiato scuola"
Non mi sono mai pentito della mia scelta, anzi, son quasi felice che mi guardino in quel modo, gente di merda.
Ma questa cosa degli sguardi non la vedo solo a Narzole, anzi. Anche oggi pomeriggio, a Torino, stavo camminando sotto i portici di Via Po e una signora piuttosto anziana ha rallentato un po’ il passo e ha iniziato a fissarmi. Si è perfino avvicinata. Aveva due occhi azzurri chiari che faceva male guardarli. Ho fatto finta di niente e sono andato avanti.