domenica 30 maggio 2010

L'inizio di qualcosa veramente malato

Cominciò tutto così. Avevamo una casa che era la punta di una stella nel lago dei nostri pensieri, ma pesava. Giusto larga un dito, era più un monolite che un rifugio. Di pietra, umida e scalza, livida di mal di schiena. Al mattino ci alzavamo alle sei senza aver nulla da fare, solo per levarci in fretta da quel bitorzolo di pietra. Giravamo per il lago, l'acqua fredda e bassa svegliava noi e i nostri scricchiolii.
Eravamo la cornice di un romanzo medievale, ma non c'era manco una pagina nella nostra vita. Un giorno Elias mi aveva detto: "Se non ci fosse l'acqua, non avremmo nemmeno più uno specchio". Avevo alzato le spalle come per dire: "Menomale".
Tempo fa, non so quanto, non ha importanza, stavamo scavando una fosse per chiuderci dentro qualcuno e Elias era scoppiato a piangere e si era conficcato la pala nel piede sinistro. Mi ero fermato e lo avevo guardato, ricoprendo il silenzio fra di noi di macchie di respiro gelato. Si era ferito. Aveva gettato la pala ed era uscito dalla buca. L'avevo seguito con lo sguardo per qualche metro, poi avevo ricominciato a scavare.

Una notte avevo sentito dei rumori fuori dalla Pietra, mi ero alzato e, ancora seduto sulla coperta, avevo spiato fuori. Un'ombra stava uscendo dalla mia visuale. Mi ero alzato ed ero uscito, ma non c'era più nulla. Da quella volta non dormo più, tengo solo gli occhi chiusi e le orecchie tese. Sperando di rivederla.

Spalare nell'acqua è la cosa che facciamo di più. Cerchiamo qualunque cosa che non sia acqua. Raramente abbiamo trovato qualcosa.
Cos'altro potremmo fare con delle pale?
Mi rispondo sempre che potremmo ucciderci a vicenda, ma l'acqua è meno dolorosa. O forse di più.

Ricostruiremo la nostra vita, un giorno. Per ora ci limitiamo a scavare.

Stamattina il sole era caldo. Ho pensato che fosse la giornata adatta a cercare qualcosa a est. Sono andato da solo. Per tutto il mattino ho camminato attorno al lago, un occhio all'acqua e l'altro alle mie spalle, inutilmente. Ho trovato una cosa che spero sia un cadavere di qualche animale. L'ho portato verso la Pietra, ma, nel frattempo, avevo già cambiato tutto e la cameriera aveva portato l'arrosto in tavola.
Ellen mi stava parlando della sua giornata e a me non interessava, quindi mangiavo con meno disgusto. Quando finì le sorrisi e lei mi chiese: "E te? Com'è andata?"
"Bene, bene. Oggi ho risolto quella faccenda con Bronson. Ci è voluto meno di quanto speravo..." disse qualcuno da dentro la mia bocca.

Poi si aprì una falla nella nave. Antonio urlò: "C'è UNA FALLA!!" Tutti correvano via e io ero rimasto immobile, incredulo e compiaciuto. Non si sarebbe salvato nessuno, lo sapevo bene, tanto valeva allora godersi la poesia sadica del momento e del movimento.

mercoledì 26 maggio 2010

Discorsi

Sulla via che porta alla stazione dove mi lascia il 18, c'è un barbone seduto davanti a una banca, credo, sempre con una sigaretta in bocca, che parla da solo. Lo fa con una classe che ha del meraviglioso: composto, per nulla preoccupante, anzi, quasi affascinante. Sembra che gli abbiano messo attorno una tavolata di amici sotto un portico, dopo cena, a discutere di qualcosa che lui conosce benissimo, ma che, in un attimo, gli abbiano tolto gli amici, il portico e la cena, e lui sia rimasto lì, ancora ignaro di tutto, assorto nel suo discorso.

lunedì 24 maggio 2010

Mezzi di trasporto

Fotografare particolari inutili sapendo di non poterli rivedere mai più

Farsi strappare un lembo di pelle a ogni foto in cui siamo rimasti impigliati, sullo sfondo

Litigare delle settimane per decidere che umore darsi

Annusare come i cani i tramonti e dopo tornare di fretta in casa, col sole

Sentire le chitarre cigolare e poi ronzare e cantare a bassa voce, a rispetto della discrezione dei fantasmi

Assecondare le assenze e onorarle a bocca aperta

Ricoprirsi di amuleti e illudersi di poter tornare

Semplificare i viaggi a poche fermate e perdersi nei tramezzi delle autostrade

Riuscire finalmente a giocare col fuoco degli altri

Spostarsi di direzione quando passa un tram,
senza considerare nessuno
senza dare spazio a nessuno

Aprire le mani al vento quando passa un pullamn
Aprire le mani al vento quando passa un pullman

Ritirarsi nei cortili
Respirare di giardini
Odorare di cortili

E tutti i bus stanno per essere riverniciati
E tutti i bus sono stati riverniciati

Ricopriamoli di carta velina e gettiamoli nel torrente
Ricopriamoli di carta velina e gettiamoli nel torrente

E poi scappiamo sopra del nastro adesivo,
strisciando come lumache
Scappiamo e corriamo via
Scappiamo e corriamo via
Appena possibile, scappare via.

Sonno

Ieri, non so cosa mi è preso, non ho fatto altro che dormire. Sono arrivato tardi la notte prima, le due e mezza, e sono andato subito a dormire, mi sono svegliato e sul treno per Torino ho dormito; a Torino avevo un sonno che mi sarei addormentato in aula, poi non ho osato così tanto.
Tornare a casa, ho dormito tutto il viaggio. Dopo pranzo, mentre guardavo un video di Carmelo Bene, mi sono addormentato sul divano. Mi son svegliato alle 5, son stato sveglio mezz'ora e ho di nuovo dormito fino all'ora di cena e intanto iniziavo a dirmi: Barta dormire, non ne posso più. Però mi veniva sonno. Dopo cena ero sul divano e mi son detto: Ora non ti addormenti. E mi sono addormentato, ma poco, perché mi sono subito svegliato e son salito in camera mia a leggere un po', che non sapevo manco io cosa leggere, ma volevo iniziare un libro nuovo. Ho iniziato a leggere il saggio di Bergson "Il Riso", che mentre lo leggevo mi dicevo: Ma perché stai leggendo sta roba? e, tempo di pensarlo, m'è venuto un gran sonno, ero sul letto, insomma, mi sono assopito.
Allora ho detto: No, cazzo, ora basta. E son sceso giù, ma niente, mi veniva sonno. Poi mi è venuta in mente una cosa che ho letto in un libro, che diceva che molti, quando leggono, gli viene sonno perché per molto tempo hanno letto prima di addormentarsi e ora il cervello associa la lettura al sonno e fa venire sonno a chi legge. Mi è venuta su un'ansia dallo stomaco che fosse capitato anche a me, che mi è passato perfino il sonno, poi però ho pensato che io son anni che non leggo a letto per piacere quindi non può essere così, però da piccolo lo facevo, leggere a letto, quindi può darsi che il mio cervello sia un po' lento e che l'effetto, di questo sconsideratissimo gesto di leggere a letto, si manifesti ora, a quasi vent'anni. Poi però mi è venuto troppo sonno e mi son detto di nuovo: No, basta dormire, cazzo! Infatti ho preso Opere di Carmelo Bene e ho iniziato a leggere Nostra Signora dei Turchi, ma non c'era niente da fare, gli occhi scorrevano sulle pagine e io mi addormentavo, allora m'è venuto in mente il fatto del sonno per la lettura notturna e ho subito chiuso tutto e sono andato a dormire.

E, mentre mi addormentavo, ho pensato che la mia giornata era stata come la televisione: tutta pubblicità intervallata da qualche programma per non annoiare troppo. Ecco, la mia giornata era stata tutta sonno, con qualche risveglio per non annoiare troppo.

giovedì 20 maggio 2010

C.B.

C.B: "Hélas, Hèlas"

m.c: "Che c'è, chi è , chi è arrivato?"

C.B: "Un amico mio, si chiama Ahimè"

mercoledì 19 maggio 2010

Oggi

Oggi Selinunte ha provato a suicidarsi nell'acqua di una fontana in centro. Voleva annegarsi, forse, non lo so. Quando sono arrivato l'avevano già salvata, la tenevano per la vita e la stringevano, lei urlava di lasciarla stare, basta, andate via, era rossa in faccia e non aveva pantaloncini. Le sue gambe giovani e belle hanno attirato l'attenzione di qualche vecchio passante. Piangeva sconsolata. Una signora si è avvicinata ad accarezzarla e lei non ha fiatato. Il ragazzo che la teneva per la vita ogni tanto la accarezzava e le sussurrava qualcosa. Tutti attorno alla fontana la guardavano.
Arrivato in stazione, ho visto passare sfrecciando un'ambulanza, a sirene spiegate, verso la piazza dove Selinunte voleva trovare la morte nel mezzo metro d'acqua di una fontana.

Mai più

..Fotografare particolari inutili, sapendo di non poterli rivedere mai più..

è strano

è strano che quando penso scrivo
e, mentre cammino, scrivo pensando.

lunedì 17 maggio 2010

Direzioni Diverse

Seduto sul mio sedile vicino alla porta di scompartimento aperta, ieri, a Porta Nuova, ho sentito una di quelle pubblicità che passano in stazione, ogni due minuti, da mattina a sera. Diceva: "Da quest'anno... la morte... ha una nuova direzione.." E poi un urlo disumano. Un film horror.

Ecco, a parte l'urlo disumano che possiamo anche metterlo da parte, ma mi chiedo: direzione in che senso? Nel senso che ora la morte, da quest'anno, passa da altre parti, per altre vie e fa altri percorsi? O che ora, da quest'anno, la morte la dirige qualcun'altro, magari un gruppo, un'azienda, un'associazione? Bisogna saperlo, cosa significa.
Che magari uno è lì che vuole suicidarsi e la morte gli passa a mezzo metro dalla faccia. è mica carino, da parte sua, della morte, dico. Oppure uno che cammina tranquillo per strada, senza voler suicidarsi, muore perché la morte ha cambiato direzione. è mica carino anche questo, sapete?
E se invece la direzione è chi la comanda, magari c'è qualcuno che sa chi è, questo qualcuno. Bisogna che lo dica.

Non va mica bene esser così confusi, poi certo che uno fa gli urli disumani.

venerdì 14 maggio 2010

Ma come si può?

C'è una sezione, in Fnac, nel reparto libri, che si chiama Gay/Lesbian e uno normalmente penserebbe che lì ci siano libri che parlino, direttamente o indirettamente, di gay e/o lesbiche. No.

Ci sono raggruppati tutti gli autori gay o le autrici lesbiche di sempre. Oscar Wilde, un saltello più in la Burroughs, vicino a Truman Capote, poi Aldo Busi e così via.
I fatti si commentano da soli, vero?

Non so come dire (3)

Quando sono uscito aveva smesso di piovere ed era tutto allagato, ma c'era il sole e faceva caldo, tiepido. Si stava bene. Dopo pranzo sono tornato in università e, seduto su una panchina nell'atrio, non so come dire, ho provato una sensazione di, non mi viene in mente il termine, l'opposto di estraneità, sì ecco, mi sono sentito come se quest'università mi conoscesse e io conoscessi lei, come se fosse mia. Non è confidenza e nemmeno dipende da quanto tempo io passi in un posto, questa sensazione. è qualcosa che compare ognitanto e mi fa sentire in, che brutta parola, sintonia col posto dove sto.

Crepitio (2)

A lezione poi, a un certo punto, si è sparso in aula un certo brusio, crescente, qualche risata sommessa. La professoressa si è fermata a si è sentito un suono, un crepitio. Tutti a bocca in aria contro il soffitto, sembrava di essere in un tazzone pieno di Rice Crispies appena bagnati col latte. Ne ero certo. Era lo stesso, identico, scoppiettare. Pioveva.

Buio (1)

E poi, d'improvviso, stamattina, siamo entrati in galleria ed è calato il buio. Non c'erano luci accese sul treno. Era stranissimo sentire il treno che correva verso Porta Susa e vedere, con difficoltà, le ombre e le sagome degli altri passeggeri accendersi e spegnersi di bianco per pochi attimi e poi scomparire del tutto, tutte insieme. Sembravamo una comitiva di ritorno in treno da una vacanza lunghissima, di notte, tutti addormentati; veniva quasi da parlar piano. E infatti è sceso il silenzio. Sembravamo dei deportati ad Auschwitz col fucile e gli occhiali, dei turisti festanti verso il macello. E poi è arrivata Porta Susa. Monumentale nella sua sporcizia di luce. E in un attimo siamo tornati solo dei pendolari, alle 8 e mezza di mattino, diretti, e arrivati, a Torino.

giovedì 13 maggio 2010

Provocazione

Anche questa,
in fondo,
è poesia,
non trovate?

Selinunte

Selinunte riceveva tarocchi da collezione dentro pacchi di fieno andato a male,

Selinunte riceveva i clienti dentro un forno crematorio all'ospedale,

Selinunte riponeva i pacchi in garage come pile del suo tempio gotico, monumentale,

Selinunte accatastava i tarocchi e ricuciva gli smacchi del tempo quadrimestrale,

Selinunte aveva un ago in bocca e un desiderio di parlare.

Diceva: Andrò via, lontano, dove neanche il mare..
Andrò altrove, sopra i silenzi
degli inceneritori e delle tangenziale..

Diceva: Arriverà un macchina.
Salirò su quella macchina, ci salirò sopra.
E galoppando sul tettuccio
mi lancerò via a centotrenta all'ora
dalla mia strada.
Sarà un attimo e durerà pochissimo.
Sarà un attimo e durerà pochisismo,
ma durerà.
Sarà come tornare a casa dei pini morti
e dalle discariche abusive
dove i bambini trovavano i cadaveri
degli spazzini, dei filippini,
dei clandestini.

Sarà come tornare a terra.

mercoledì 12 maggio 2010

Tutto

Tutto il veleno d’inchiostro finito nel nostro pane,
tutte le schegge di legno dei gelati buttate dietro ai termosifoni col naso che cola,
tutte le sedie schiacciate, le pelli grattate, i pruriti
salutati al mattino con uno sbadiglio,
tutte le stelle lasciate ad asciugare sul caldo del televisore,
e le figlie uccise soffocate dalle voglie dei loro padri,
tutte le macchine rimesse a letto senza le coperte,
tutte le prese elettriche ricoperte di nastri rossi per attirare la corrente,
tutte le mani stirate sotto i letti, accese nei cassetti,
tutti gli assi aperti come lucertole al sole
e fatti essiccare sopra i comodini,
mentre noi ci facevamo portare in giro dalle nostre penne, che sono come navicelle spaziali, arrotate e lisce, che slittano sulle palme, le cantine e le uretre, a dipingerci gli occhi d’azzurro per guardarci più a fondo, a notare i nostri difetti agli specchi capovolti inutilmente, a raccontare ai cuori degli sconosciuti come ci si sente ad essere senza un’idea.
Tutta la noia ammassata in cucina, portata a morire in salotto e salutata per sempre al cesso, con un sciacquone che tuona come un uragano dentro un barattolo di vetro, chiuso ermeticamente, dentro al petto di un canarino.

Bancarelle

Neanche uno oggi, neanche uno. E dire che a stare qui, sotto questo portico, c’è da ammazzarsi per bene, poco per volta, a furia di caldo e di freddo, di pioggia e di questa vita ignobile.
Tutta la giornata e non un turista, non un universitario poco indaffarato a comprare qualcosa, manco un fumetto. Tutti i libri stanno lì, al loro posto, come li ho riportati alla luce stamattina. Appena due o tre tizi si sono fermati a dare uno sguardo, ma niente, hanno tirato dritto.
Oggi rientro in casa con una giornata in meno e la giacca un po’ più sdrucita, la faccia un po’ più scavata dai giorni, ma nient’altro. Se non la fame della cena. Chi è che vorrebbe fare il mio lavoro? Chi vorrebbe vivere con quello con cui vivo io? Nessuno, nessuno, lo so bene.
Dei giorni mi monta su una voglia di andarmene e lasciarli tutti lì, quei maledetti libri, tornamene a casa e dormire tutto il pomeriggio, far niente, e poi il mattino dopo si vedrà. Che li rubino pure, che se li portino a casa a pacchi, che li conosco bene tutti: quando c’è da pagare non la vedono nemmeno, la mia bancarella, ma quando c’è da rubare son anni che aspettano solo il momento di farlo! Ebbene, lo facciano! Mi liberino da sto fardello, che io non ne posso più. Non ne voglio sapere più.
Che poi inizio a non star più bene con la mia coscienza, sempre a fregare la gente, a portarle via libri per pochi spiccioli, fingendo pure d’esser generoso, no, no, non è cosa per me, non più; ormai c’ho la mia età, le mie coscienze personali, i miei pesi e le mie angosce, no no, io inizio a sentirmi una merda. Ma chi me lo fa fare? No, basta, davvero, è ora di finirla. È andata male sta vita, c’è niente da fare, bisogna tirare le somme senza sporcarsi troppo, non mi voglio più sporcare, voglio fare un bagno caldo e piangere una giornata intera, per lavarmi tutto, fino in fondo, per chiedere scusa alle piastrelle del mio bagno, riconoscendovi dentro, offuscato, ogni viso di cliente fregato in questi anni, tutti quei ragazzi pieni di libri, gli zaini stracolmi, che se ne andavano via con poche mila lire, pochi euro ora.. Voglio chiedere scusa a tutti, che è stato un gioco cattivo, dannoso, per me, magari non per loro, che in fondo si son liberati solo di libri che non volevano più, e c’han pure guadagnato qualcosa, ma troppo poco, troppo, ma per me è stato solo un gioco cattivo, mi ha avvizzito come una prugna vecchia. È questa vita che mi ha ammazzato, a forza di botte dietro la schiena, tutti i giorni, è questa Torino che non mi considera che mi ha ammazzato, che mi ospita perché non sa che ci sono, questa gente che non sopporto più, questa maledetta sedia di plastica sulla quale ho passato gli ultimi trent’anni di vita, aspettando che qualcuno comprasse qualcosa, che arrivasse qualcuno a vendermi qualche libro, a controllare che nessuno rubasse i libri.
Libri libri libri libri, ovunque, da sempre..Ormai ho le mani di carta, la testa e gli occhi pieni di copertine e titoli, senza mai averne letto uno, di quei tomi che mi portano da anni, da millenni, nella mia testa pesante.
Pure la strada di casa ora mi guarda di traverso. Non ho più voglia di voi, lasciatemi andare in campagna, con una bella ragazza, lontano, lasciatemi in pace, voi e i vostri libri che comprate e dopo anni mi rivendete. Lasciatemi, voi e i vostri cazzo di libri.

lunedì 10 maggio 2010

...

Allora ci incamminammo per il sentiero. Elena avanzava al buio davanti a tutti. Sicura. Qualcosa in lei sembrava spronarla. Le molle dei nostri piedi spappolavano le terre sulle pietre. Tutto moriva sotto la nostra luce artificiale ed elettrica. Un botto squartò la noia di Ennio. Ennio non esisteva ma tutto andava bene, anche se tutto era illuminato. I piani si sovrapposero. Caddi nel silenzio nero di sempre. Dormii per millenni nel mio deserto. Svegliatomi venni a sapere di essere caduto dal percorso, e di essermi rotto una gamba. Non sapevo bene quale. Erano tutte e due immobili. Mi dissero che era la sinistra. La mossi. Urlai. Dopo arrivò un’infermiera a portare notizie ai visi lì intorno, ma non era lei: quella che avevo semrpe visto nei miei sogni riguardo agli ospedali e alle mie permanenze al loro interno. Non sentivo più nulla dalle orecchie, ma i miei occhi erano attivi, guizzanti e mordevano ogni cosa che potevano. Vidi notizie pessime uscire dalla bocca e dagli occhi di mia madre. Vidi parole lontane che sputavano morte ovunque. Vidi tutto questo e altri pezzi che ora dimentico per vivere. Da quel momento, ogni cosa ora sa di torta di mele e di acacia. Anche se non so bene il gusto dell’acacia.
Ma so che è lì, sotto la mia lingua di tumori immaginati.

Accanto al comò, dietro la quercia secolare, si nasconde il biglietto che mi regalerà Tullia. Che nome terribile: Tullia. Sa di vecchia. Vecchia la madre prima di esserlo. Puzza di scale nobiliari. Tullia si siede davanti a me e inizia a parlare piano. Non c’è nessuno nella stanza e nemmeno a tenere il filo dei miei pensieri, ma lei parla piano. Arriva la notte e io non ricordo una parola di quello che mi ha detto. Arriva il giorno e dubito che sia venuta. Arriva la notte e io di Tullia so tutto, ma non il cognome. Penso sei giorni al suo cognome, cagandomi nelle mutande, vomitando, contorcendomi per i crampi allo stomaco e perdendo sangue a ogni colpo di tosse, e, nonostante la medicaglia attorno a me parli di lacerazioniinfezioniègravesecontinuacosì, so che è il mio dimenticare il suo cognome a farmi tutto questo. Sono io la causa di tutto questo. Nessuno lo capirà.
Ricordo il nome di Tullia mentre nella televisione della mia camera passa una pubblicità di coltelli da collezione. “È sempre stato nella mia pancia, cercava di uscire” mi illudo. Ma non è vero. L’avevo dimenticato. Si sente che da lontano qualcuno ha fatto qualcosa. Il sonno preme. Cedo.

Tutto è immobile, oggi. Le carte che ho sulle gambe mi ricordano di essere qualcosa di vivo e le riposo subito sul comodino, di fianco al letto. Ora cammino. Mi sento confuso, ma non è vero. So poche cose e non ne voglio conoscere altre. Mia madre arriva da sinistra e mi prende. Prendo la mia valigia ruvida marrone ma non troppo scura e saluto i medici. Usciamo dall’ospedale. Fa troppo freddo per me. In macchina sento il bisogno di tornare in quella stanza. Appoggio la mano sulla maniglia. Mia madre sta girando in una rotonda. Non ho la cintura. Apro la portiera e porto il peso verso l’esterno.

Non sono felice. La camera non è più la stessa, e per stare qui, tanto vale rimanere a casa. Dico ai medici che quando tornerò a casa diventerò un artista, ma non farò vedere a nessuno le mie opere. Dipingerò e scriverò musica. Non canterò, la mia voce spezzerebbe i vetri. Detesto la mia voce. Ho sempre desiderato essere muto, senza mani e nemmeno senza piedi. Immobile su un divano. O per terra. Senza sensibilità. Morto. Ma non ancora. Poi però penso a quanto faccia male un unghia rotta. E penso a quanto sono codardo. Non riuscirei mai a essere felice come vorrei esserlo, a mio modo. Non essendo assolutamente niente.
Quando mi riportano a casa, mi dicono che non posso scendere dalla sedia a rotelle.
Perché? Se sono paralizzato, sono paralizzato anche sul pavimento.
Dicono che devo stare sulla sedia. Guarirò. Non sono paralizzato.

A tavola non parla mai nessuno. Mangiamo uno di fronte all’altro ma non diciamo una parola. È sempre stato così. Quando parlo con altri e mi sento dire: “Ne parlavamo proprio ieri a tavola” mi viene spontaneo rispondere: “Ah, perché voi parlate?” Passò la mia giornata in silenzio, cercando di annullarmi. Non parlare, muoversi poco. A volte mi dico che dovrei scaraventarmi addosso alla vita e farmi scaraventare via da essa, ma rimango immobile. Mastico.

Ho scoperto Pink Moon. Ora ascolto solo quel disco. Da tre settimane. Potrei chiamare la musica Pink Moon. Credo che lo farò, un giorno. Quando più nulla mi terrà su questa terra.

I limiti, ora, sono la mia ossessione. I limiti delle cose, dei quaderni, degli oggetti nella mia stanza, in cucina, in cantina. Studio i limiti di ogni singola cosa che vedo, tocco, o penso. Tutto ha un limite. Perfino il pensiero. Tutto ha una fine. Un bordo. Lungo i bordi faccio scorrere lentamente le mie dita. Memorizzo i limiti. Le loro immagini. Tutto il resto non mi interessa, tanto dovrà finire a ridosso di un bordo.

Il mondo fuori da me si spegne. Non mi interessa più sapere cosa accade. Né cosa vogliono gli altri da me. Il buio. Spegniamo le luci. Ma io non vi sfido. Non vi vedo.



[non so manco bene io cosa sia, l'ho scritto qualche mese fa, di getto, più per il ritmo delle frasi che per un senso vero e proprio. Non c'è il titolo per il solito motivo]

venerdì 7 maggio 2010

Comunicazioni

Il signore dalla faccia ovale a forma di saponetta usata si guardò attorno ancora un attimo, inquieto, con le punte delle scarpe che già sporgevano fuori dal marciapiede, si assicurò ancora di non essere troppo guardato, sistemò inutilmente la sua giacca sul braccio sinistro, dato che era perfetta così com'era, e poi, con un passo rapido scese sui binari e, resistendo all'impulso di mettersi a correre, li attraversò fino ad arrivare alla parte opposta, sotto gli occhi sgomenti di un uomo che lo stava guardando da qualche secondo. Si avvicinò all'ignaro pendolare che lo fissava con gli occhi sgranati e, a bassa voce, senza alcun movimento, molto distintamente, gli disse: "Lo sa che qui sotto c'è un sottopassagio?"
L'uomo non rispose, ma continuò a fissarlo molto imbarazzato. Dopo qualche secondo riuscì a biascicare: "Mi scusi?" ma il signore dalla faccia ovale a forma di saponetta usata era già corso sull'altra parte della banchina e, con non curanza, si stava osservando l'orologio da polso, ma troppo a lungo per voler sapere soltanto l'ora.

[piccola storiella che mi è venuta in mente ieri sera, aspettando un treno in stazione e sentendo, per sbaglio delle mie orecchie, la seguente comunicazione: "è severamente vietato attraversare i binari per dirsi del sottopassaggio" al posto della classica: "è severamente vietato attraversare i binari, servirsi del sottopassaggio"]

Risparmi

Qualche sera fa stavamo cenando, mia madre ha portato del formaggio in tavola e mi ha chiesto: "Ne vuoi un po'?"
"No" le ho risposto.
"Dai, è buono" mi ha detto lei, "risparmi sul pane.." ho capito, ma aveva detto: "lo spalmi sul pane.."
E ho pensato che un mondo dove si mangia formaggio per risparmiare sul pane, sarebbe da vedere.

martedì 4 maggio 2010

O

O su Carmelo Bene.

In piedi

Qualche giorno fa stavo pranzando, ricordo che mi ero alzato un attimo in piedi per prendere qualcosa, e ricordo di aver pensato: "Sarebbe particolare scrivere una tesi di laurea sulla pioggia in letteratura." Ma non avrei niente da dire.

lunedì 3 maggio 2010

Titoli

Ho dei titoli in mente per dei libri che non scriverò mai e uno di questi, che mi piace moltissimo ma non saprei cosa scrivere oltre al titolo, è:
"Quattro discorsi su tutto il nulla"

Domenica pomeriggio

Sotto il portico di casa mia, oggi pomeriggio è arrivata già l'estate, grazie a "Alì & Toumani" di Ali Farka Tourè & Toumani Diabatè. Dopo pranzo, La Confraternita Dell' Uva di John Fante in mano, ho sentito il portico riempirsi di caldo, d'estate, di Sud America e d'Africa, dei ritmi assopiti che la musica infondeva su di me. Non sentivo gli: "Adesso si mette a piovere" di mio padre, quasi un tentativo di rompere la mia pace. Non sentivo nulla se non l'atmosfera e le parole, quelle di Fante. Anche lì era estate. Non era scritto, lo si poteva intuire, certo, ma non c'era nessun indizio a confermarmelo. Era la musica che entrava nelle parole e le rigonfiava di caldo afoso e placido.
C'era appena un filo d'aria a rendere tutto piacevole.
Da sotto il tavolo è cascata una vespa e l'ho schiacciata senza paure, con la ciabatta. Ho letto per un'ora buona, intensamente e con piacere, recuperando tutte le pagine perse nei giorni precedenti a studiare per un esame.

Fante ha la capacità di emozionare, di far vivere intere situazioni in poche righe, di farti sentire i suoi personaggi più profondi e vicini di quanto lo siano effettivamente sulla carta. Fante per me è estivo, senza essere volgare: l'ho sempre letto d'estate e le sue storie, i suoi personaggi, hanno sempre un deserto o della sabbia, davanti a loro o dietro le spalle.

Sulla poltrona, leggendo del Chianti di Antonio Musso, di Nick Molise e di Cavallaro, della loro estate gelida di vino bianco, mi è venuto un sonno pesante, come dopo un pranzo abbondante e mi sono assopito, tranquillo e sereno.
Al risveglio il cielo era gonfio. Tirava vento freddo, ma non sono rientrato in casa. I Kyuss. Demon Cleaner, da lì in poi, e giù questa spruzzata di pioggia innocente, purificatrice. Giusto per qualche minuto, musicale.
Le Luci Della Centrale Elettrica. Canzoni da spiaggia deturpata, da dopo-di-pioggia. Portami a bere dalle pozzanghere, portami a bere dalle pozzanghere... L'acqua scoloriva tutto.

E poi mi è venuto in mente un verso, che dovrebbe stare in una canzone, chissà, forse un giorno scriverò canzoni pure, per ora lo scrivo qui:
"E capovolgevo le tue foto
per farti sorridere
almeno una volta,
ma non bastava.."