martedì 14 giugno 2011

Tu che torni

Migliaia e migliaia di parole lasciate in macchina. liberate al buio e lasciate a ficcarsi nei sedili.
Tu che torni. con una canzone a ripulirmi certi pensieri alti e stupidi. in un disco scheletrico e pieno di vuoti, di mediterraneo e di ombra assolata.

giovedì 9 giugno 2011

Quaranta watt

Le microfratture nelle nostre mani. tutti i giorni. I problemi agli occhi di Van Gogh. che vedeva il centro delle cose deformato. le sue ansie. Dei denti bianchi e quadrati che ho disegnato. delle dediche a dei nessuno innumerabili. e delle penne blu. come degli argini con poca selettività. La poeticità dei suicidi. dei cuori disegnati. dei cuori blu. è un periodo che non so mai che musica ascoltare. e il mio isolamento dal mondo trasmesso è ormai completato. L’amore per i plurali. Il ronzio del mio amplificatore che quando lo spengo crea un vuoto nella stanza. I vuoti non-a-rendere delle mie giornate. come quando mi annoio anche della noia. Certe frasi o certe parole che canto sempre nelle canzoni. Faccio promesse notturne a me stesso di giornate impegnate e operose, svegliandomi già al mattino con un ritardo colossale. Dopo, quando rileggo tutto, manca sempre qualcosa. Come ogni volta che rileggo una mia cosa vecchia, che mi faccio sempre schifo. La salvezza che mi danno certi vinili. Che se pioveva era perché avevamo bestemmiato troppo. L’aria che c’è dentro le lampadine, che non c’è. Ne tengo una in gola, sotto la lingua, e non è per schiarirmi le idee. che la ragione, no, quella magari lasciamola perdere.

martedì 7 giugno 2011

Come Don Chisciotte prese la tonsillite. come si ruppe le mascelle. A morsi di rabbia e di stelle. noi anime belle. scrivevamo delle nostre aridità sui ghiacciai. E la mattina pioveva e i Pontiak avevano poco da fare, se non arredare. il paesaggio. fuori dalle nostre finestre. Spinoza di Paolo Nori ancora da finire perché non lo voglio finire. e forse su di lui farò una tesi di laurea. Voglio andare a Londra e scrivere su dei quaderni. passare la notte a respirare l’atmosfera londinese e scrivere pensieri stranieri. Ugo Cornia che mi cambia il modo di vedere le curve. Questo periodo in cui mi stanno ricrescendo i capelli e mi sembra di tornare. E quella volta che sono scoppiato a piangere ascoltando il primo disco dei Velvet Underground. Il conforto che mi da una scatoletta di metallo sulla scrivania. Quest’oggi ha senso anche solo per il modo in cui risuona nell’aria la voce dell’ultimo dei Fleet Foxes. che sembra cadere dal cielo. che sembra uscire da una grotta illuminata. Arriveremo anche noi ad altre conclusioni, ma adesso lasciateci tempo. lasciateci tempo. Ho ritrovato un documento word nel mio computer. Dice: “Ho crampi ovunque. Crampi alle braccia, crampi alle gambe. Oggi ho visto un video, su Youtube, di Emidio Clementi che legge il primo capitolo di La qualità della vita, di Paolo Marasca. È un attimo, e un uomo si butta sotto il treno. Sangue, coperte, caffè caldo per tutti. È il quarantesimo compleanno del protagonista, e sta andando a un funerale. Quel video mi è rimasto in mente tutta la serata: il modo in cui Clementi legge, la velocità con cui tutto accade. La bellezza di una una cosa brutta. Oggi finalmente sono andato in Via Pinelli.”

sabato 4 giugno 2011

Einsturzende Neubauten - Appunti

tempi d'e/oro

Inizia tutto male. Il treno per Carmagnola delle 18 30 ha 40 minuti di ritardo, bisogna prendere quello per Cavallermaggiore e aspettare. A Cavallermaggiore due vecchi parlano da un binario all’altro. All’inizio mi sembra che parlino in piemontese, poi capisco che non è piemontese, è un’altra lingua. Sembra una scena teatrale. Uno era già lì seduto sulla sua panchina, sul binario uno, chissà da quanto, e l’altro arriva con un treno, che poi è quello su cui ero anche io, si siede per aspettarne un altro, e solo dopo un po’ si accorge del suo conoscente dall’altra parte. Il bello è che tutto questo lo sto scrivendo in presa diretta, mentre accade: i due stanno ancora parlando. Attenzione, treno in transito sul binario tre, allontanarsi dalla linea gialla. I due uomini si fermano ancora prima che arrivi il treno. Una volta passato non parlano più.

Bisogna cogliere la fine quando arriva, con prontezza. Sapere chiudere una storia, sapere chiudere un racconto, un rapporto, un discorso. Perché le fini sono tante e non ci danno pace. Bisogna avere la penna pronta per scrivere l’ultima frase e chiudere tutto in un cassetto. Bisogna essere pronti. E avere gusto. Le cose hanno una loro fine, se si appiccica loro addosso un’altra fine, una fine tarda, una fine prematura, una fine altra, le cose perdono equilibrio, cadono, non stanno più in piedi. È così bello sentire la fine che arriva, l’attimo in cui arriva, e godersela, in tutta la sua meraviglia.