mercoledì 27 novembre 2013

Lasciare dei segni

Quando cerco l’ispirazione, salgo su un treno. Credo sia una questione di carattere, di conformazione mentale.
Quello che ho sempre apprezzato del treno come strumento magico è la sua capacità di renderti spettatore stabile e in movimento di uno scorrere costante e continuo, di gettarti le cose addosso; e questo movimento “imposto” del treno, lo scorrimento del paesaggio, mi sembra che smuova una situazione di stallo come l’assenza di ispirazione, che smuova le idee e ne faccia nascere di nuove. In qualche modo, non ho ancora capito quale, mi sembra influenzi i pensieri.
Il treno è un fenomeno cinetico che diventa cinematografico. Anche se il tragitto rimanesse sempre lo stesso, i fattori che renderebbero ogni viaggio particolare e, quindi, possibilmente ispiratore sono moltissimi : la luce, il momento della giornata, la stagione, l’umore, il posto in cui si è seduti, la posizione in cui si è messi, il modo in cui si è vestiti, la compagnia o la solitudine, i vicini, il libro o la musica che si ha con sé. Si ha così poco da fare, su un treno, che ogni cosa assume un’importanza, e mi viene da dire, una luce, differente.
  
Il treno è anche una raccolta di voci, di rumori, di storie; basta sedersi e ascoltare. C’è una certa sacralità, una certa ritualità nell’ascoltare il vociare ed i discorsi di un vagone intero, nell’osservare i piccoli miracoli che si creano sotto i nostri occhi al mattino presto, quando la luce sembra essere ovunque e provenire da ogni cosa. E prendere un treno, in determinati momenti, per me è fondamentale, sacro.

Mi è capitato di pensarci spesso, al sacro, in questo periodo, anche grazie al fatto che, a fine settembre, c’è stato a Torino un festival che si chiama “Torino Spiritualità” che ogni anno organizza dei concerti e delle letture in qualche modo riguardanti il sacro,a volte anche in modi anche parecchio inusuali, che mi piacciono sempre moltissimo; festival che, a dirla tutta, dal nome, io la prima volta che ne avevo sentito parlare, qualche anno fa, avevo pensato a una manifestazione noiosissima e anche un po’ snob di preti, cerimonie, religioni, eccettera; invece poi, no, mi ero proprio sbagliato, e mi sembra che quel festival lì, in un certo modo, mi abbia dato una sfumatura di luce differente, sul sacro, durante gli anni.

E pensando, sul treno, mi son reso conto che, per me, il sacro, forse di nuovo per la mia conformazione mentale, non ha nulla di religioso. Credo abbia più a che fare con la meraviglia per il quotidiano, con i dettagli, con degli ambienti; è un sacro quasi atmosferico. E questa attrazione verso i particolari e verso la meraviglia credo sia la sensibilità più importante che mi abbiano trasmesso la letteratura e i libri in generale. Come certi racconti brevissimi di Carver, per esempio, che se fossero “incolonnati” sarebbero delle poesie perfette, per come vedo io la poesia.

E ieri, proprio mentre cercavo l’ispirazione per scrivere, mi sono ricordato oggi sul treno, ho riaperto per caso Diario Notturno, di Flaiano, e ci ho trovato dentro una frase, che fa così: “La troppa familiarità con le cose sacre allontana da Dio. I sagrestani non entrano in Paradiso.” e poi, più avanti, un’altra: “Cogliere l'impossibile nel gesto più solito, meravigliarsi sempre. Succede che la vita è piena di spettacoli non conformi alle nostre abitudini visive, spettacoli e forme che dovrebbero turbarci per la sconnessione col mondo circostante o per le allegorie che così hanno voluto disporli. Ma perdiamo forse tempo a notarli e a meravigliarcene? Se così fosse, ad ogni momento ci chiederemmo un perché, e forse niente e nessuno saprebbe risponderci.”  e ho pensato che anche questo trovare degli echi dei propri pensieri nei libri, per me è una cosa meravigliosa e, in qualche modo, sacra. 

Poi sono sceso dal treno, erano le otto di mattina, ed entrando in un bar per fare colazione, mentre pensavo ancora al sacro e ai libri, mi sono reso conto improvvisamente, forse proprio per i ragionamenti che stavo facendo, di essere entrato di nuovo in un rituale quotidiano nella mia vita: quello del the.
Mi rendo conto che, forse, a spiegarla, questa cosa del rituale del the potrebbe essere strana, però, secondo me, rappresenta bene la mia idea del sacro, credo.
Non è solamente una questione di preferenze, di gusti, non è solo la bevanda in sé; è una questione di ritualità, dell’importanza del rituale del the nella sua interezza, in tutto il suo procedimento, dalla scelta della tazza all’infusione, fino al the fatto e finito. E’ più un modo di affrontare le cose, farsi una tazza di the; un ritmo lento, meditativo; un momento di conforto, una sicurezza, una costante inderogabile. E mi sono reso conto, ad esempio, che quando sono a casa e mi sto facendo un the, i tre minuti che ci mette il microonde a scaldare l’acqua, mi sembrano densissimi e pieni di pensieri; e sono convinto mi sembri così perché durante quei tre minuti sono così immerso nella ritualità del the da essere isolato da tutto il resto e da crearmi un silenzio, attorno, e dentro, se così si può dire, nel quale, se ci deve essere una voce, è solo e soltanto la mia.

Allora, tornando a casa, sul tardo pomeriggio, di nuovo sul treno, dato che la mia testa era immersa in tutti questi ragionamenti sul sacro e sul rituale, mi è venuto da scrivere una lista, che a me le liste, come forma letteraria, piacciono moltissimo e mi sembrano anche un po’ sottovalutate, e ho scritto una Lista del Sacro, che è poi questa:

Sacro è ciò che è fuori dal tempo. Sacro è lasciare dei segni.
Sacri sono certi pomeriggi d’agosto, con il sole che entra comunque, anche dalle serrande abbassate. Sacro è l’attimo Prima e l’attimo Dopo. Sacre sono tutte le notti passate a ParlarSi in macchina e le mattine prestissimo. Sacro è l’attimo in cui inizia un concerto e l’attimo in cui finisce un libro. Sacra è una città deserta di mattino presto. Sacra è una casa appena affittata, ancora da arredare, con le pareti bianche e spoglie, invasa di luce. Sacri sono certi dischi che ti salvano la vita. Sacro è girare in posti sconosciuti senza sapere e senza considerare nemmeno dove si è. Sacre sono certe minuscole commozioni, improvvise e inaspettate, che sono come dei crolli di verità. Sacre sono certe solitudini.
Sacro è il ricordo. Sacra è l’Assenza. Preghiera è il ritorno all’Assenza.

Sacra è la Fine.

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