domenica 26 dicembre 2010

Riso

Il telefono è staccato. Nessuno sa dove siamo. La pioggia fa un suono talmente delizioso che spengo la musica e ti dico di ascoltare. Lo fai per pochi secondi, poi sembri ritornare sul tuo libro senza molto interesse per le mie meraviglie gratuite. Io invece rimango con gli occhi chiusi e mi immagino la strada macchiarsi d’acqua, le gocce cadere sempre più grosse, sfracellarsi contro l’asfalto sporco e tiepido. La pioggia che bagna di poco le finestre e slabbra di poco le dimensioni; che atterra senza suono e fresca, pesante; che tocca tutto ciò che c’è fuori da questo albergo: che si riunisce in un’unica, grande, pozzanghera.
Rimaniamo in silenzio per diversi minuti, poi mi abituo al suono della pioggia e quasi non lo sento più; allora mi alzo e guardo fuori dalla finestra. Per strada non c’è nessuno. Sono le due del pomeriggio, d’altronde. Nemmeno noi siamo in strada e, magari, molti di quelli che sono in casa in questo momento stanno guardando alla finestra pensando che è normale che nessuno sia in strada, non lo sono nemmeno loro, d’altronde.

Mi sono addormentato sul divano e quando mi risveglio tu stai davanti al fornello cercando di cucinare qualcosa. Guardo l’ora e sono solo le cinque di pomeriggio.
“Ma è presto..” ti dico.
“Ho fame” mi dici, senza nemmeno voltarti, ma sento che lo dici sorridendo, come se stessi sperando che non me ne accorgessi e continuassi a dormire.
“Cosa stai facendo?”
“Riso”
“Come fai a mangiare del riso alle cinque di pomeriggio?”
“Quando ho fame mangio. L’ho sempre fatto. E tutti mi hanno sempre chiesto: “Come fai a mangiare alle cinque di pomeriggio?”” dici sospirando.
“Eh, infatti.”
“E io ho sempre risposto che quando ho fame, mangio.”
Mi esce una risatina che sembra strana. Infatti ti giri e mi guardi.
“Problemi?” mi dici sorridendo, fingendo una minaccia.
“No, amico, figurati, amico. Però stai calmo ora!”
Riesco a farti ridere. Ti siedi accanto a me con il tuo piatto di riso, una forchetta e mi guardi. A un certo punto scoppi a ridere.
“Che hai?” ti chiedo, ridendo anch’ io.
“Fai una faccia..” e continui a ridere. “Sembra che stai seduto accanto a un' aliena”. E ridi ancora di più.
“Ma no, è che..boh, non ti ho mai visto mangiare così presto. Fai pure, ci mancherebbe.”
Posi il piatto sul tavolino e riaccendi la televisione. Come al solito sei nella tua solita posizione: una gamba piegata sotto il sedere e l’altra a penzoloni giù dal divano.
Alla televisione passano una puntata del tenente Colombo, come sempre. A un certo punto inizio a sentire fame anche io, sebbene siano appena le cinque e un quarto.
Dopo dieci minuti di borbottii nel mio stomaco, mi alzo e quando sono già davanti al fornello ti dico:
“M’hai fatto venire voglia pure a me”, vergognandomene un poco.
Sogghigni senza staccare lo sguardo dallo schermo.
Quando l’acqua bolle, aggiungo il sale e getto il riso. Subito una zaffata di vapore mi si sbatte in faccia. Dopo sento un grande freddo, ma lentamente anche questo passa.
Rimango lì davanti alla pentola a fissare l’acqua che bolle e il riso che si muove, gorgoglia, borbotta, si agita, sale, scende, sale, scende, sale e scende turbinando..
Sarà colpa del vapore, ma mi viene sonno, un sonno leggero. Da bambino, penso.
Scolo il riso e lo metto nel piatto, anche se la fame mi è già quasi del tutto passata.
Mi guardo allo specchio sopra il fornello e vedo che non mi sono nemmeno pettinato oggi: ho i capelli tutti arruffati. Me li sistemo senza molta cura con una mano, mentre già ritorno al divano.
Tu ti sei alzata e guardi alla finestra, con una mano appoggiata alla tenda a lato del vetro.
Mi siedo sullo schienale del divano e ti guardo, mangiando. Non finisco nemmeno il piatto e lo riporto sul fornello.
Ha smesso di piovere.
“Cosa guardi?”
“Niente.”
“Interessante..”
“E piantala” mi dici facendo sfuggire un accenno di risata. Silenzio. “Per quanto dovremo stare ancora qui?”
Sapevo che me l’avresti chiesto prima o poi.
“Un mese o due” ti dico.
Sospiri.
Ti dico: “è per il nostro bene, lo sai..”
“Si, lo so. È che mi annoio.” Ti giri e ti appoggi alla finestra. “Non so che fare tutto il giorno in una stanza d’albergo.”
“Potremo uscire, qualche volta, ma non di sera: ci sarebbe troppa gente in giro. Magari subito dopo pranzo, quando quasi tutti sono ancora in casa.”
“Ma ci saremo solo noi. Ci noterebbero di più.”
Sospiro anche io, grattandomi con un dito la nuca.
“Beh qualche volta lo potremo fare comunque. Anche perché pure qui all’albergo potrebbero insospettirsi.”
Vieni avanti e mi dai un bacio. Mi tieni un attimo la testa fra le mani e non dici nulla, poi torni a sederti, riapri il libro che stavi leggendo e, un attimo prima di ricominciare a leggere, dici:
“Stasera a cena voglio mangiare schifezze.”

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