sabato 27 novembre 2010

Cose da fare

è stato bello pensare, stasera, di aver qualcosa da fare al computer. Era come se il mio stare al computer acquisisse un senso, che di solito quando sono al computer non è che faccia delle gran cose, però ci sto tanto, quindi magari uno da fuori potrebbe anche pensare: perdita di tempo, invece perdita di tempo un cazzo, e poi vogliam parlare della vostra televisione? Ecco, allora, per favore, su, camminare, che non voglio sentire sti discorsi.

E quindi ero di sotto, in salotto, e stavo venendo di sopra, qui, al computer, e pensavo: che bello, devo fare delle cose al computer. E questo dover fare delle cose, quest’occupazione ma senza preoccupazioni, mi piaceva e mi piace tutt’ora. Che poi le cose che avevo da fare non è che fossero chissà cosa: fare la lista di Natale per mia nonna e scrivere un compito per il lettorato di inglese, centocinquanta parole sulla televisione italiana, una cosa un po’ culturale, non tanto l’esperienza vostra, aveva detto la lettrice. Va bene, facciamo così. Ci ha dato due settimane per farlo, oggi è venerdì, la prossima lezione è martedì, se glielo mando oggi (vuole che glieli mandiamo via mail, i compiti) gliel’avrò mandato ancora prima della prossima lezione, pensavo mentre salivo le scale , e già mi immaginavo la scena: ragazzi, ho visto che nessuno mi ha mandato la composition, tranne uno, un certo Dellapiana. Sì, sono io. Ecco, l’ho letta e va bene, falle pure così. Va bene. E poi quel momento di silenzio che significa: vedete lui? Fate come lui, invece di non fare niente tutto il giorno per due settimane e poi mandarmi la composition il prossimo lunedì sera.

E, mentre che pensavo tutte queste cose, ero già arrivato di sopra avevo acceso il computer.
Avevo acceso il computer e mentre avevo pensato: quasi quasi faccio prima la composition, guarda , che bravo, prima il dovere poi il piacere, che poi, piacere, mica tanto, è sempre una rottura di balle fare sta lista, di solito son sempre lì a farla a mano, sul treno, a pensare ai dischi che voglio senza averli davanti, prima di arrivare a casa di mia nonna e dargliela, che lei tutte le volte la apre, fa finta di leggerla, poi dice che l’ho scritta male, che non ci capisce niente, e io ogni anno mi chiedo perché non l’ho scritta al computer e infatti quest’anno la scrivo al computer, pensavo, poi non è andata proprio così.

È andata che poi sono arrivato di sopra, ho acceso il computer, mi sono seduto e mi son messo a scrivere una specie di poesia che, mentre mangiavo cena, mi era venuta su naturalmente, e mi erano venuti su i primi due o tre versi, che fanno così:
La parola CARNE
Ha, dentro di sé,
un dente.
E quei versi m’erano venuti quando avevo morso un tortellino in brodo, e avevo sentito la carne, e mi era venuta quest’immagine di un dente nella carne, e poi le poesie, se così vogliamo chiamarle, sono un po’ strane da spiegare, e alla fine ti sembran sempre delle cagate. Anche sta qui, il tortellino. Quindi meglio non spiegarle. Meglio dire che mi è venuta così, di colpo, mentre vagavo nel nulla e nella disperazione più totale, abbruttito dai mali della vita e dal nichilismo assoluto che mi pervade l’anima fin dalla nascita. Meglio dire che mi son messo lì a scrivere i primi tre versi e poi tutto il resto è venuto da sé, in cinque minuti, senza correggere niente, e questa poesia, se così la vogliamo chiamare, si chiama La parola CARNE e fa così:

La parola CARNE
Ha, dentro di sé,
un dente.
Un incisivo
Ficcato nel cuore di ogni carne.

Ogni dente è il germoglio di una carie,
ogni carie fiorisce nella carne.
Carie della carne,
carie della carne.

Pezzi
di bovini macellati:
ogni taglio un dente,
un incisivo
insito
nel centro della carne.

La carne vuole carne,
carne vuole carie, carie.

I fiori della carie,
carichi di petali
gonfi d’acqua
sgravanti,
spioventi
sulla pietra umida
e ruvida,
umida e ruvida.

La CARNE,
ricopre
i fiori
in bozzoli
di tumori
mai nati.

La CARNE,
espelle,
risucchia,
gonfia,
putrefazione di sé stessa.


-


I
colori
dell’arcobaleno
nei riflessi di carne
vecchia
quasi andata a male.

Sotto le luci delle vetrine,
la carne fosforescente,
i filetti, magri
e nudi
sono rosa
come un chewingum.

Pezzi d’America,
un tempo viventi.


Ecco, dopo che l’avevo scritta, ero talmente contento che mi son dimenticato delle cose che dovevo fare, perché era tanto che non scrivevo e ancor di più che non scrivevo una poesia, se così la vogliamo chiamare.
Allora ho fatto un giro su internet, suppongo, non ricordo bene, ma ricordo di essermi ricordato delle cose che avevo da fare solo un’oretta dopo, e mi son detto: Adesso le faccio. Però che palle la lista di Natale, quella magari la faccio domani, che tanto è il 26 novembre, che fretta c’è?
Poi dopo un po’ mi son ricordato della composition di centocinquanta parole sulla televisione italiana, un po’ culturale, non tanto sulla vostra esperienza personale, e anche lì, due balle. Magari domani. Non facciamo gli sboroni, che poi se son davvero l’unico ad averla mandata, ma che figura ci faccio?
E quindi non ho fatto niente di quello che dovevo fare, ho scritto una poesia, se così la vogliamo chiamare. Per oggi io dico che va bene.

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