sabato 3 dicembre 2011

Cantavano da loro

Pensavo, prima, mentre facevo la doccia, alla cattiveria. O meglio, a Ligabue.
Mi è tornato in mente che Ligabue qualche anno fa aveva fatto un concerto, a Campovolo, dove, si diceva, fosse riunita la più grande folla di spettatori di sempre, per un concerto, in Europa. E quella notte lì, gli sono entrati in casa i ladri, a Ligabue. Che, pensandoci un po’ sotto la doccia, è stata una cosa cattiva: cioè, nella sera in cui tutti stanno guardando te, in cui tutti parlano di te, in cui l’attenzione dei media è tutta su di te, noi ti portiamo via tutto da casa; nel giorno in cui tu stai facendo un botto di soldi, noi te li facciamo spendere, almeno un po’, per riarredarti casa, bastardo, avran pensato i ladri. O forse no.

Fra l’altro, si dice che quel concerto lì fosse stato un mezzo disastro, perché il posto era talmente grande, che tantissima gente non aveva sentito niente, e, si dice, ancora, che a un certo punto della gente avesse iniziato a cantare delle canzoni di Vasco Rossi; tanto, non si sentiva niente, allora cantavano da loro. E pensavo all’umore di Ligabue il giorno dopo, il concerto a Campovolo. I ladri in casa, le lamentele che iniziavano ad arrivare anche sui giornali, nelle televisioni e su internet, i ladri in casa, la gente che cantava Vasco, il sentirsi un po’ un coglione, i ladri in casa. Che giornata di merda, dev’esser stata, per Ligabue, quella giornata lì.

A me una volta piaceva, Ligabue. Quando avevo circa tredici, quattordici anni. Poi no, poi basta, poi uno cresce e si evolve, va verso altre direzioni. Menomale, direi. Ligabue piace anche a mia madre, che è, si potrebbe dire con un termine che un po' mi ripugna, una sua fan; e infatti il dvd del concerto di Campovolo io a casa ce l’ho, gliel’avevo regalato per Natale, e a vedere da lì, dal dvd, sembra che tutto vada benissimo, che tutto fili che è una meraviglia. C’erano quattro palchi, messi tutti attorno al pubblico, e mano a mano che il concerto andava avanti Ligabue correva da una parte all’altra a cantare delle altre canzoni, e a me era sembrata una cosa un po' lunga, a dire il vero. A un certo punto verso l’inizio Ligabue dice anche: ah ma allora è vero, ci siete davvero. E si sente un boato pazzesco del pubblico. Insomma, lì non si capisce, che in quella serata ci fossero tutti i preamboli per una giornata di merda.

mercoledì 16 novembre 2011

Un modo per uscirne - (appunti da Londra)

che con la sua nebbia, le sue anfetamine e le sue perle mi aveva lasciato il suo fiato nelle orecchie e dodici rivoluzioni ancora da metabolizzare. Ci cadevano addosso le verità nascoste male. ma avevamo il coraggio di non ricacciarle più di nuovo su. di darlo a vedere, che era tutto sbagliato. Adesso a fine gennaio dici che parti. E ci sono quelle mattine dove uno si sveglia e si chiede perché sta facendo la vita che sta facendo. poi però non è detto che cambi qualcosa. programmiamoci i viaggi. totalmente fuori tempo. e non cerchiamoci la scusa del controtempo: siamo totalmente fuori tempo.
ci sono cose che danno salvezza, come Jeff Buckley che canta Just Like A Woman. come certi blackout. E avrei delle domande da pormi. dei rumori di sottofondo.





Viaggiare sopra le macchine, le luci bianche e gli ingorghi. fra le strisce di notte che si vedono dai finestrini appannati. E l’azzurro gessetto di questo mattino sovrannaturale.

C’è un verde con una luce in centro. Ho scoperto che Geogaddi è il disco perfetto per viaggiare in aereo. è musica da occhi chiusi sopra il cielo. di arrivi e ritorni. Di colori che scompaiono.

Ho un letto a Londra, cosa voglio di più?

domenica 13 novembre 2011

Istruzioni per farti un caffè d’orzo alle due di notte

Allora. Scendi di sotto, ricordati d’abbassare un po’ il volume della musica che con la riproduzione casuale non sai mai cosa può capitarti e puoi svegliare i tuoi. Poi niente, vai in cucina e apri il frigo. C’è una caraffa, nel frigo; cioè non è una caraffa, dipende cosa uno intende per caraffa, che poi a pensarci non è che ci sia molto campo libero, per definire una caraffa, una caraffa è quella e basta: facciamo prima a dire che non so come si chiama, quella cosa dove tu ci metti l’acqua del rubinetto, lei ha tutto un meccanismo di filtri che la depura e ti esce l’acqua pulita che la puoi bere tranquillamente come fosse quella delle bottiglie. So solo che è comoda perché è piatta, che tu la metti per lungo nello sportello del frigo e lei ci sta da dio. Comunque, prendi questa presunta e provvisoria “caraffa” e la poggi sul piano cucina. poi apri l’anta delle tazze e speri che ci sia la tazza che piace a te, quella più grande, che si allarga salendo, quella dove ci sta più acqua, che se non c’è quella tocca prendere quelle normali, quelle che non si allargano salendo, son sempre larghe o strette uguali, e lì dentro ci sta meno acqua ed è un po’ una sofferenza. Apri l’anta e vedi che non c’è, la tazza che vuoi te, allora apri la lavastoviglie e speri che sia già stata lavata e appena la apri senti quel caldo, quel tepore, che c’è quando la lavastoviglie ha finito da poco di lavare, e sei contento, e prendi la tazza che vuoi e la riempi d’acqua, quasi fino all’orlo, come sempre, attenzione però a non riempirla troppo che conta che ci devono ancora stare due cucchiaini di caffè d’orzo e tre di zucchero più il cucchiaino, che son cose che uno non ci pensa, ma fanno volume. Allora prendi la tazza la riempi d’acqua e la metti nel microonde, controlli che il microonde sia alla temperatura massima e imposti al timer a due minuti spaccati. Niente, poi il microonde fa tutto da sé, non c’è bisogno di stare a guardarlo.

Nel frattempo è meglio se inizi a prendere il pane, e a guardare nel sacchetto se c’è una fetta tagliata o no, se non c’è la tagli, logico, questo è scontato, ma se c’è già, una fetta tagliata, la prendi e la metti sul piano della stufa, che è ancora caldo e così ti si griglia il pane, che è una cosa commovente, il pane caldo un po’ croccante, secondo me. Poi ti ricordi che mentre prendevi il pane hai visto che tua madre ha di nuovo preso quella specie di nutella, solo che non è nutella, è una crema al cioccolato fondente, che detta così, se ti piace il cioccolato fondente, sembra una bontà, poi la apri e vedi che è tutta fiorita.
Fiorita nel senso che, sulla superficie, di questa crema che si chiama Nutkao, e quindi suppongo abbia anche delle nocciole dentro, ci sono tutti dei fiorellini, diciamo, di Nutkao, come se il grasso del cioccolato fosse venuto su, che è una cosa abbastanza normale, se ci pensi, anche l’olio lo fa, però non è che ti fidi molto, che già l’altra volta, quando tua madre aveva preso la Nutkao c’erano dei grumini bianchi, che lì era proprio sicuro fosse il grasso del cioccolato, però santo dio, che schifo. Meglio non prenderla più eh, sta Nutkao. Devi ricordarti di dirlo a tua madre, domattina, e anche di chiederle come mai l’ha ricomprata, visto che l’altra volta bla bla bla. Ma dove la fanno sta Nutkao, in Romania? Comunque, nel frattempo che pensi tutta sta roba ti viene in mente di prendere un cucchiaino e di portare via la parte fiorita, solo che scopri che poi anche sotto è un po’ tutta così, sta nutkao, però un po’ meno. Bah. Poi vai dal lavandino a pulire il cucchiaino, apri l’acqua e fai scendere la Nutkao nello scarico, solo che è densa, non scende mica, devi spingerla un po’. E ti viene in mente che, è brutto dirlo, e pure pensarlo, ma è proprio uguale alla merda, vista così.

Nel frattempo son passati due minuti e il microonde ha finito, suona, allora tiri fuori la tazza, la metti sul piano cucina e continui a pulire il cucchiaino, e, non si sa perché, senza nessun motivo evidente, ti viene in mente, mentre sei lì chino sul lavandino, quella ragazza a Londra con la quale ti sei fatto una figura da stronzo che metà basta, come si dice. Che praticamente eri entrato in questo localino, a Camden Town, mentre giravi per il mercato, che chiamarlo mercato uno pensa ai mercati che ci son qui, no no, lì è una cosa enorme, c’è di tutto lì, dai negozi alle bancarelle, di qualunque cosa, che se uno non ci è mai andato non può capire, se uno ci è andato ha già capito, quindi è inutile stare qui a spiegare, ma dicevamo, eri capitato in un localino dove si poteva entrare tranquillamente senza pagare nulla, che era sulla stradina del mercato, e in questo locale c’era un gruppo che suonava, e tu eri stato un po’ lì ad ascoltarli, non è che ti piacessero molto, erano un po’ mosci, un po’ anonimi, però comunque eri rimasto perché eri convinto, o almeno ci speravi, che quella fosse una band famosa, non tanto, un po’ famosa, che tu non avevi mai visto in faccia, e che a un certo punto si presentassero e dicessero, ciao, grazie a tutti, siamo i cosi, e tu avresti pensato, nooooo, i così, non posso crederci, qui a Londra, per puro caso li ho beccati. E niente, sarebbe stato un bell’aneddoto da raccontare.

Mentre che eri lì a sentire questi tre suonare, ti si era avvicinata una ragazza, molto carina, bionda, con un cappello in mano, ed era venuta vicino a te e ti aveva detto qualcosa in inglese, solo che con la musica alta non avevi capito quello che t’aveva detto, allora le avevi chiesto se poteva ripetere e lei te l’aveva ripetuto, quello che aveva da dire, solo che non avevi capito di nuovo, che secondo te quella ragazza così carina non era inglese, parlava inglese ma non era inglese, era islandese, secondo te, quella ragazza lì, infatti non si capiva bene cosa diceva, poi con la musica alta, lascia perdere. E comunque alla seconda volta ti era sembrato brutto chiederle di ripetere di nuovo e allora avevi pensato di fare il gentile e di sorriderle e di farle il più gentilmente possibile il gesto di no grazie, che era una risposta un po’ vaga, che poteva adattarsi a mille occasioni. E lei aveva fatto una faccia stupita, come se non se l’aspettasse, e ti aveva chiesto: no?, e tu le avevi risposto, ma tranquillamente, gentilmente, no. Di nuovo. E lei ti aveva detto, oh, ok. Ed era andata via.

E poi avevi capito che era la ragazza del cantante del gruppo che stavi sentendo che stava raccogliendo un po’ di soldi per il gruppo, tipo offerta libera, metti quanto vuoi se ti piace il concerto, e tu le avevi detto no, così candidamente, con quell’aria della serie: non mi faccio problemi a dirti che il tuo ragazzo fa veramente schifo e non gli darei nemmeno mezzo pound. E infatti c’era rimasta male, che di solito uno qual cosina lo da comunque, anche se non è particolarmente entusiasta dello spettacolo. Tanto per il gesto. E invece no, l’avevi guardata con la tua aria da stronzetto, o meglio, con quella che lei aveva percepito come un’aria da stronzetto e le avevi detto di no. Bello stronzo, davvero. Ti eri sentito proprio una merda, nel momento in cui avevi realizzato. E allora, mentre sei lì chino sul lavandino a pulire un cucchiaino, ti viene su un rimorso durissimo tristissimo e ti vien da chiederle scusa, ragazza bionda forse islandese, scusami se sono stato uno stronzo, mi dispiace davvero ma non avevo capito, c’era la musica alta, fra l’altro il fonico doveva esser anche stato un’incapace perché erano in tre, chitarra acustica, chitarra elettrica e percussioni, cioè, non percussioni in generale, era un cajon, comunque, erano in tre e la chitarra elettrica non la si sentiva per niente, quindi davvero, ragazza carina, non si capiva niente, non volevo fare lo stronzo, scusami.
Intanto hai pulito tutto, lavandino e cucchiaino, e mentre che ti facevi tutto questo ragionamento mentale non ti sei accorto che, chissà perché, muovendoti, hai chiuso il Nutkao e l’hai rimesso nella credenza, allora te ne accorgi e apri il frigo per riprenderlo, poi ti rendi conto che hai aperto il frigo per niente, lo chiudi, apri l’anta della credenza e lo prendi.

Solo che è veramente denso, allora che fare? Ci pensi un po’, poi lo metti dieci secondi nel microonde, per vedere che succede. Sì, va bene, altri venti, così si ammorbidisce. Nel mentre prendi il caffè d’orzo, nel metti due cucchiaini, prendi lo zucchero, ne metti tre cucchiaini, guardi lo zucchero e il caffè che piano piano sprofondano giù nell’acqua calda, e mescoli.

Poi prendi il barattolo di Nutkao, che cazzarola, si è quasi sciolto, ma fa niente, lo spalmi sulla fetta di pane, ripulisci tutto, ti mangi la fetta di pane, buona, ci può stare, e con la fetta di pane in una mano e la tazza nell’altra te ne vai dalla cucina, spegni la luce attento a non sporcare niente, risali le scale, spegni la luce delle scale, entri in camera.

Poggi il caffè d’orzo e chiudi la porta.

venerdì 11 novembre 2011

Un inizio di una fine

Ho iniziato a scrivere una cosa che, se tutto andrà bene e se mai riuscirò a finirla, dovrebbe essere un po' lunga. Questo dovrebbe essere l'inizio:


Succedeva sempre che, a un certo punto, si finiva in macchina a parlarne.
ed era una ricorrenza, una specie di rituale privato. Ci si capitava nei modi più disparati, e si piombava su quell’argomento dalle vie meno sospette di un discorso qualunque. e il succo era sempre quello: che così non si poteva andare avanti.

Succedeva sempre che, a un certo punto del discorso, si distribuissero le colpe come le parti di uno spettacolo più o meno definito, che finisce sempre allo stesso modo. e che non finisce mai.

E si andava avanti lo stesso, di notte in notte, a pensare che forse era finita, però cazzo, se soltanto…

Succedeva sempre così, nei nostri discorsi notturni.
Fino a quando è successo davvero. e forse non ce ne siamo nemmeno accorti.

giovedì 13 ottobre 2011

Iniziare una Moleskine

Non c’è nessuno su sto treno del mattino, a tornare a casa. Ma c’è una luce nel giallo delle tende, da piangere. E questa mattina c’era ancora la nebbia di ieri notte, ancora più densa e spessa, che stava sospesa sopra le rotonde e mi spaventava mentre guidavo. E a un certo punto, sempre ieri, mi è venuto in mente che ogni pensiero è una spina nel fianco di Cristo. E hai gli occhi persi, oltre il mio sguardo. e la tua testa è pesante. che ultimamente stanno passando anche gli scoglionamenti, ma mi sembra che tutto sia venuto via un po’ slavato. Altri Libertini di Tondelli fa scattare l’antifurto in Feltrinelli e non si capisce come mai. E mi ricordo che il primo giorno che ho ricominciato l’università, stavo tornando a casa, in treno, e a un certo punto ho guardato fuori dal finestrino e ho visto, così, in mezzo al verde, uno stendino, bianco, vuoto, ed era bellissimo.

È un periodo che non scrivo più e che ho ricominciato a leggere, a stare bene in casa; che ho smesso di lavorare e mi sono reso conto di quanto fosse brutto, e prematuro, in un certo senso. e vaffanculo a tutte le migliaia, davvero migliaia di persone che ho chiamato in questi, quanti sono?, uno, due, tre, quattro, quattro mesi e una settimana di lavoro. E ora ricomincerò anche a studiare e magari mi darò una mossa, e darò qualche esame e al più presto mi comprerò un basso o una chitarra acustica. e non vedo l’ora che arrivi l’inverno e la neve, con le felpe e le giacche lunghe e tutti gli sbrinamenti in casa, le serate gelide e i pomeriggi bianchi, interminabili. Che arrivi l’inverno con tutta la sua premura, che sento che le cose stanno cambiando, anzi sono già cambiate e questa volta non sarà come un anno fa. Ci sarà più gente e meno solitudine, meno depressione. Rimarranno sempre il sonno e l’insonnia, le levatacce e i respiri pesanti, e i ritorni in treno da solo; rimarranno le stazioni e le canzoni, gli innamoramenti. E forse ci sarà qualche amico con cui chiudersi in casa la notte della vigilia. E magari riuscirò a smettere di magonare. Ma forse no. In fondo... vediamo com’è essere innamorati d’inverno.

lunedì 26 settembre 2011

Ossi

I miei pensieri oggi puzzano di pennarello indelebile. e la tua testa è troppo interessante per essere così semplice. Mi affili la curiosità. mi affili la curiosità.
In cima al coma. guardavamo giù, e i nostri portafogli erano pieni di sangue. Seduti, in bianco e nero, su una macchina ferma sotto la pioggia.
Nei miei occhi ci sono dei cali di corrente. e la strada sembra sciogliersi anche se faccio i centoventi. Io e te ci siamo quasi distrutti la testa. . I nostri muri del pianto che crollano. e l’infinita infinità dell’infinito. I nostri muri del pianto in macerie. e una scatola di pesche piena di pietre in borsa. mentre continui a raccogliere piume ovunque.
Andare al di là dell’al di là. fra le pause e i solai. Anniversari di litigi e di scazzi salienti. come quella volta che avevate litigato per quei trecento euro di merda. e non siete mai tornati.

venerdì 23 settembre 2011

Heaven on Earth

C’è una canzone degli Spaceman 3, si chiama Walkin' with Jesus. Parla di come trovare il paradiso in terra e di come non sia così male sapere di sbagliare. E i nostri abbracci è un periodo che non si incastrano più.
Sono giorni che non sembra mai il giorno che è, e l’amplificatore che ho in camera sembra l’unico tipo di arredamento che io abbia. I tuoi capelli che sono nastri di carbone. E tutte le ombre e i freddi azzurri che ci aspettano.