lunedì 11 ottobre 2010
Cartelli
domenica 3 ottobre 2010
Che poi
Cose che mi vengono in mente alle due di notte
venerdì 1 ottobre 2010
Asce - Discorso immaginario sui gialli (quarta parte)
Ma, a pensarci meglio, forse sono solo io che non sono capace a riassumere i gialli. Mi viene in mente che, qualche anno dopo la malsana idea di scrivere un romanzo uguale a Dieci piccoli indiani, una domenica che ero da mia zia, mentre lei stava verniciando delle persiane, le avevo voluto raccontare un giallo che stavo leggendo, mi sembra di Jeffery Deaver: le avevo raccontato i primi due capitoli in mezz’ora, lei mi aveva ascoltato, in silenzio, dopo un po' mi aveva fermato, mi aveva detto che non ci aveva capito niente, e mi aveva fatto notare tutto quello che avevo sbagliato, nel raccontare, e mi aveva detto di finire il libro e la settimana dopo di tornare e raccontarglielo bene. E io la settimana dopo ero tornato, gliel’avevo raccontato, l’avevo di nuovo raccontato male.
Asce - Discorso immaginario sui gialli (terza parte)
E a scrivere il riassunto di Dieci piccoli indiani, di Agatha Christie, edizioni gli Oscar Mondadori, costo 7 euro, art director: Giacomo Callo, mi è venuto da pensare che i gialli, a riassumerli, sembrano sempre ridicoli.
giovedì 30 settembre 2010
Asce - Discorso immaginario sui gialli (seconda parte)
Dieci piccoli indiani è stato il primo libro per adulti che ho letto, e il primo giallo, anche, che ho letto. Che ora, poi si dice ora ma non è ora, è un po’ di tempo fa, allora, un po’ di tempo fa ho ripreso in mano qualche libro della Christie, non riesco più a leggerli. Mi sembrano così banali, così vuoti. Mentre a tredici, quattordici anni leggevo solo gialli, e in particolare solo gialli di Agatha Christie, ora non riuscirei a leggerne uno in un mese. Son cambiato.
Me lo ricordo benissimo, il giorno in cui ho comprato Dieci piccoli indiani, di Agatha Christie, edizioni gli Oscar Mondadori, costo 7 euro, art director: Giacomo Callo. Era poco prima di Natale, ero già in vacanza, e dovevo leggere per i compiti di italiano Dieci piccoli indiani di Agatha Christie e Sogno di una notte di mezza estate, di William Shakespeare. Li avevo presi in una libreria in centro ad Alba e, mi ricordo, tornando indietro al parcheggio dove era la nostra macchina, c’era la neve, erano le sei di sera, forse anche le sette, avevo detto a mia mamma che non volevo leggere i libri delle vacanze, che Shakespeare era noioso e pesante e Agatha Christie mi faceva paura. E io Shakespare e Agatha Christie non li avevo mai letti.
Ma era una di quelle mie cose di cui mi convinco, e mi convincevo, che poi a togliermele dalla testa ci vogliono le asce, e poi, quando mi accorgo che i miei pregiudizi erano sbagliati, infondati, stupidi, mi sento sempre piccolo, e mi vien da parlare piano.
E poi l’avevo letto in due giorni, Dieci piccoli indiani, di Agatha Christie, edizioni gli Oscar Mondadori, costo 7 euro, art director: Giacomo Callo, e mi era piaciuto da morire. Solo che, e questa cosa mi fa pensare, appena arrivato a casa, avevo aperto il libro per leggere la prima parola e l’ultima del libro, come facevo sempre, e, in pratica, avevo già letto chi era l’assassino.
Mi fa pensare perché mi viene da chiedermi: e se non avessi il nome dell’assassino prima di iniziare il libro, sarebbe cambiato qualcosa? Mi sarebbe piaciuto lo stesso? O di più? O di meno? E ora leggerei ancora gialli, se non avessi letto il nome del primo assassino del mio primo libro giallo, prima di iniziarlo, il mio primo giallo. Son cose che fanno pensare, per me. è un po’ come quella storia del What if..?, mi sembra ci siano anche dei libri su questa cosa, cioè: cosa sarebbe successo se.. qualcosa. Di solito si fa con la Storia, questo discorso, la storia studiata a scuola, istituzionalizzata. Ma a pensarci lo si potrebbe fare anche con la Storia Personale, che per come sono fatto io ha la stessa importanza della Storia Universale. Sarei lo stesso se, invece di andare a leggere l’ultima pagina, fossi andato a bere un sorso d’acqua e me ne fossi dimenticato? Secondo me no, ma non saprei dire altro.
Forse è ora di fare una puntualizzazione, di aprire una parentesi, per quelli che Dieci piccoli indiani non l’hanno letto. Dieci piccoli indiani, di Agatha Christie, parla di dieci persone riunite su un’isola deserta, sole, fra le quali si aggira un assassino che lentamente uccide uno per uno tutti i suoi compagni. E nella casa dove stanno c’è una specie di scultura, con dieci negretti, e ogni volta che uno muore scompare un negretto.
E poi muoiono tutti tranne due, che si ammazzano a vicenda, e si crede che tutto sia finito, ma si scopre che uno di quelli che erano morti tempo prima non era morto veramente, fingeva soltanto, e, quando poteva, si alzava e andava a ammazzare gli altri. Ecco, l’assassino è il giudice Lawrence Wargrave. Così, per rovinarvi il finale.
Che magari ora vi ho pure cambiato la vita, che non è che sia per forza una cosa buona, o per forza una cosa cattiva, però magari poi, fra tanti anni, mi ringrazierete.
Ma molto più probabilmente no.
Asce - Discorso immaginario sui gialli (prima parte)
Ho scritto un romanzo breve, in quarta ginnasio. È la copia esatta di Dieci piccoli indiani, di Agatha Christie. L’ho scritto tutto a mano, su un quadernetto di taglia piccola con la copertina rigida, di cartone. A matita, con la grafia che avevo 6 o 7 anni fa, una grafia che ora, a guardarla, mi sembra orrenda. L’ho ritrovato stasera, nel cassetto dove per anni ho messo le cose che scrivevo: per la maggior parte poesiacce da adolescente deficiente. Era in cima a tutta quella pila di fogli, e me l’ero scordato. Ho aperto il libricino e sulla prima pagina c’è scritto:
Alunno/a: Dellapiana Andrea
Classe:
Scuola: IV gin A
Materia: Gialli
Sottolineato due volte.
Ricordo che l’avevo portato in giro per mesi, quel quadernetto. L’avevo fatto leggere a mia zia, e gliel’avevo portato il giorno del funerale della mia bisnonna. L’avevo portato a una collega di mia madre e probabilmente pure alle mie cugine. L’avevo fatto leggere anche a mia madre.
Prima dell’inizio del romanzo avevo scritto tutti i nomi dei personaggi con una breve descrizione per ognuno, per aiutare i lettori , credo d’aver pensato quand’ero troppo piccolo per rendermi conto di quanto fossi stupido.
Jack Smith (che vergogna): Propietario del Gothic Hotel (voglio morire. Il Gothic Hotel…)
Mary Smith: sorella di Jack e prop. del Gothic Hotel
Emily Brosten: vecchia signora casa e chiesa
Anthony Fishers: proprietario di un negozio di alimentari
Vera Nickson: moglie di A. Fishers
Edward Clopper: star della tv in declino
Din Anyston: giudice
Andy Fent: magistrato di mezza età
Bob Matterson: avvocato di Boston
Si vedeva già allora che a inventare i nomi ho sempre fatto schifo.
Poi inizia il romanzo:
I
“Jack! Jack! Vieni, veloce, oddio mi sento male, Jack! Nel roseto.. L’hanno ucciso.. Bob Matterson è morto, vieni!”
Furono queste parole che svegliarono improvvisamente Jack Smith, proprietario del Gothic Hotel insieme a sua sorella Mary, che stava tranquillamente dormendo.
“Cos’è successo, Mary? Cos’è successo? Sto scendendo, arrivo!”
Mary era davanti al roseto, sbiancata, sconvolta, muta dopo tante parole.
“Oddio, è terribile” disse piangendo e buttandosi fra le braccia di Jack.
“Cos’è successo, dimmi, perché stavi urlando in quel modo?”
Ecco, io, ora, comprassi un libro che inizia così, chiuderei il libro, lo poserei sul divano un attimo, salirei di sopra, accenderei il computer, cercherei su Google il nome della casa editrice, cercherei nel sito un indirizzo mail al quale scrivere, tornerei di sotto a prendere il libro, ne ricopierei l’inizio e scriverei, dopo, in f fondo:
“Voi siete dei deficienti. Spero che la morte vi prenda di sopravvento.
Andate a lavorare in una televisione regionale, lì vi prendono sicuro.”
E, poi, tornerei in salotto e starei un po’ lì senza far niente.
Non finisce mica lì, il primo capitolo, ma non ho intenzione di copiarne altre parti. Solo che sfogliandolo ho notato delle correzioni, in penna blu, delle cancellature e delle freccette, e mi è tornato in mente che quelle erano le cancellature di mia zia, che l’aveva letto, l’aveva corretto e poi quando me l’aveva ridato mi aveva detto: “Bello, manca un po’ di approfondimento psicologico. Bravo però.”
E ora mi immaginavo la pena e, o, il divertimento di mia zia, a leggere quella roba. Io mi sarei vergognato per me stesso, non fossi stato me stesso ma fossi stato mia zia.
E poi mi chiedevo che ragazzino dovessi essere stato. E che periodo dovesse essere stato, quello, da mettermi lì e, a mano, scrivere un romanzo. Dev’essere stato un periodo felice, penso. O almeno un periodo in cui non avevo proprio niente da fare e tanta voglia di scrivere. Di sicuro era appena iniziata la mia passione per i gialli, e l’aver imitato Dieci piccoli indiani non è affatto un caso, anzi.